L’Italia ha molti primati e benemerenze culturali a livello mondiale, si può dire da sempre, e in ambito letterario in particolar modo. Eppure, sino a qualche tempo fa diversi studiosi e critici erano convinti, si spera in buona fede, che fosse del tutto carente in quello della letteratura che via via è stata definita “popolare”, “di massa”, “di consumo”, “di genere”: saremmo stati il fanalino di coda per quel che riguarda non tanto la narrativa poliziesca, o “rosa”, o d’avventura, quanto soprattutto quella fantastica e fantascientifica in particolare. Tutti i Paesi occidentali più significativi, dalla Francia alla Gran Bretagna alla Germania, ma in specie gli Stati Uniti, avrebbero avuto i loro precursori prima della nascita “ufficiale” a livello di editoria popolare di questi due tipi di narrativa, mentre l’Italia sarebbe stata una specie di deserto.
Affermazione invero di per se stessa singolare e che quasi non teneva conto che nell’arco dei secoli nel nostro Paese si sono avuti esempi insigni di questo genere di letteratura di altissimo livello. Alla rinfusa e per grandi linee (che hanno però una origine comune) si potrebbe ricordare il filone cavalleresco con l’Orlando furioso dell’Ariosto (1516) e, su un altro livello, “favolistico”, Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille, detto anche Pentamerone, sulla falsariga del Decamerone, di Giovanbattista Basile (1634), mentre su un piano d’immaginazione più razionalistica e filosofico-religiosa tutto il filone delle utopie apparse in Italia a seguito della diffusione dell’opera di Tommaso Moro (1516), sulla scia o in contrapposizione ad essa in seguito alla Controriforma, da Il mondo savio e pazzo di Anton Francesco Doni (1552) a La città felice di Francesco Patrizi (1553), da La città del sole di Tommaso Campanella (1623) a La repubblica di Evandria di Ludovico Zuccolo (1625), da La repubblica delle api di Giovanni Bonifacio (1627) a La repubblica di Lesbo di Vincenzi Sgualdi (1640).
Ma, viene obiettato, qui si tratta di “alta letteratura” e non di narrativa “popolare” diffusa attraverso media “popolari”. Questa, dal momento in cui le tecniche della stampa lo hanno consentito, non è praticamente esistita, veniva detto, perché in Italia non esistevano le condizioni propriamente culturali che la potevano favorire. Lo avrebbero impedito prima la situazione storica, vale a dire lo spezzettamento della Penisola in vari Stati e staterelli; in seguito, dopo l’unità d’Italia, un certo provincialismo savoiardo, quindi l’oscurantismo culturale fascista, chiuso ad ogni novità, infine il bigottismo democristiano.
Non solo. C’è chi scrisse che a ostacolare questo genere di narrativa ci sarebbero stati anche due elementi generali: da un lato la religione, cioè la Chiesa cattolica, pre- e post-Conciliazione, che avrebbe funzionato da freno, sia diretto, nei confronti della diffusione di opere troppo fantasiose e libertarie, sia indiretto, sulla immaginazione degli scrittori che non avrebbero osato affrontare certi argomenti (ad esempio, il sovrannaturale). All’opposto della religione la scienza, o meglio la tecnica: venendo considerata la fantascienza una “narrativa dell’era industriale”, cioè nata dalle sollecitazioni delle teorie scientifiche e dalle loro applicazioni pratiche, essa non si sarebbe sviluppata in Italia in quanto il nostro Paese, a differenza di Francia, Germania, Gran Bretagna, per non parlare degli Stati Uniti, era profondamente arretrato, per non dire sottosviluppato.
Teorie ed ipotesi azzardate e nate da pre-giudizi che si sono ripetute per anni senza essere per nulla verificate “sul campo”, cioè con riscontri su libri e riviste. In realtà, non è esistito alcun ostacolo né storico, né culturale, né politico, né religioso, né scientifico, alla nascita ed alla diffusione di una narrativa popolare e di genere fantastico-fantascientifico, ma al massimo, come si vedrà, tutto è dipeso esclusivamente dalla struttura dell’industria editoriale italiana e dalla organizzazione del mercato corrispettivo.
All’origine c’è un errore di prospettiva. Il fatto è che di solito il raffronto che si fa per trarre le conseguenze di cui sopra non è tanto con Gran Bretagna e Francia, ma quasi automaticamente con gli USA, la cui editoria e mercato “popolari” sono sempre stati estremamente diversi da quelli non solo italiani ma europei. Quindi, si tratta di un raffronto e un confronto sbagliati, perché la situazione americana è del tutto particolare, quasi un unicum, tra fine Ottocento e inizio Novecento, quando vennero poste le premesse di quel che poi germoglierà in questo settore.
Negli Stati Uniti le riviste e le pubblicazioni da pochi centesimi in vendita nei chioschi e che presentavano anche storie complete (i dime novels) erano moltissime, le pubblicazioni specializzate per settori (dall’avventura allo sport, dall’aviazione al culturismo, dalle storie orientali a quelle poliziesche, da quelle sentimentali a quelle di pirati) una infinità, sicché la nascita prima nel 1923 di Weird Tales, che pubblicava racconti “bizzarri”, fantastici e dell’orrore, e poi nel 1926 di Amazing Stories, la prima dedicata specificatamente alla science fiction, fu qualcosa di inevitabile, quasi naturale. Nella stessa Gran Bretagna vere e proprie riviste di fantascienza non nacquero o si affermano che nel secondo dopoguerra. Quindi, non si può fare un simile parallelo.
Possiamo però parlare di protofantascienza, usando un termine che se non sbaglio coniò Italo Pileri, vale a dire una fantascienza grezza, in nuce, non consapevole di sé in quanto ancora non codificata, che è a mio parere preferibile alla dicitura di prefantascienza, che dà l’impressione di intendere solo una fantascienza venuta prima della sua ufficialità ma non molto diversa da essa.
Intanto, per connotare la protofantascienza si deve cominciare a capire come e quando è nata la fantascienza vera e propria. Problema quasi etimologico, variabile da nazione a nazione. Per convenzione possiamo dire che quella che chiamiamo “fantascienza” è nata nel momento in cui le è stato dato il nome ed ha avuto una pubblicazione a lei specificatamente dedicata, mentre in precedenza aveva denominazioni varie ed appariva qua e là senza una esatta definizione. Negli Stati Uniti, come si è detto, nacque nell’aprile 1926, allorché l’immigrato lussemburghese Hugo Gernsback, che sino ad allora aveva pubblicato riviste di divulgazione scientifica e radiotecnica come Radio Electric e Modern Electric, mandò nelle edicole Amazing Stories, dedicata alla scientifiction, la narrativa a base scientifica, che nel 1929 divenne science fiction: nel primo fascicolo ospitò storie di Verne, Wells e Poe, i numi tutelari di quel tipo di narrativa.
In Italia possiamo fissare questa data nell’ottobre e novembre 1952, quando escono il quindicinale (anzi il “bimensile”) I Romanzi di Urania e quindi la rivista Urania, che pubblicavano romanzi e racconti di “fanta-scienza” (inizialmente con il trattino), neologismo con cui Giorgio Monicelli, curatore di entrambe le testate, aveva reso sinteticamente (anche se un po’ liberamente) science-fiction. Non furono le prime di questo tipo in Italia (ad aprile le aveva precedute Scienza fantastica di Lionello Torossi, che proponeva quella traduzione per rendere il termine inglese), ma furono quelle che imposero il genere e la definizione. Tutto quel che era stato pubblicato in precedenza, quando non aveva ancora un nome e una identità precisi, possiamo considerarlo legittimamente protofantascienza. E così negli USA, prima del 1926.
Per rintracciare il come e il perché della sua nascita e della sua presenza, occorre andare a indagare i vari filoni editoriali che la ospitarono e, quindi, la tipicità della nostra produzione in questo ambito rispetto a quella americana. I filoni sui quali portare la nostra attenzione sono almeno tre o quattro.
Prima di iniziare la nostra indagine nell’Ottocento, cioè il secolo in cui si strutturò una stampa, oltre che informativa, anche divulgativa e letteraria popolare, che è alle radici di quella del Novecento a noi tecnicamente più vicina, si deve notare che opere che affrontavano tipici argomenti “fantascientifici”, come il viaggio interplanetario e il mondo di domani, non erano ignote nella Italia pre-unitaria e nei primi decenni dopo l’unità, nel 1870, a significare che certe tematiche non erano del tutto ignote a lettori “alti” e “bassi”, non emersero insomma all’improvviso ma germinarono da un terreno culturale non completamente arido.
Abituati come siamo ai luoghi comuni sulla assenza di una narrativa d’anticipazione o di speculazione scientifica nell’Italia dell’Ottocento unitaria o addirittura pre-unitaria, fa un certo effetto apprendere invece che nella Modena retta ancora dagli Este uscì nel 1836 Un viaggetto nella Luna di «N. N. Accademico Tassoniano», e nel medesimo 1836, ma nella Torino sabauda, venne tradotto il famosissimo opuscolo Delle scoperte fatte nella Luna dal signor Herschel (ma senza le incisioni del popolo lunare) «Presso Il Libraio Giuseppe Vaccarino» e impresso dalla «Tipografia Cassone, Marzorati, Vercellotti con permissione»; e che due anni dopo, nel 1838, nella Milano ancora austriaca veniva stampato un Viaggio nell’Universo, romanzo fantastico-metafisico di certo Francesco Viganò, uscito dai «torchi di Omobono Nanini», e quindi che nel 1845 un tale Remigio Del Grosso, di professione abate, si prese l’uzzolo di tradurre dal tedesco nella Firenze del Granducato di Toscana una Memoria del Dottore Guglielmo Olbers sulla probabilità dello scontro di una Cometa colla Terra: “probabilità” non “possibilità”.
Nella Penisola non ancora unificata apparivano dunque, qua e là, opere bizzarre che aprivano orizzonti inusitati ai sudditi del Regno savoiardo, del Lombardo-Veneto e dei Ducati e Granducati dell’Italia centrale: chissà cosa ancora si potrebbe scoprire andando a scartabellare nelle biblioteche locali…
Ma anche dopo le Guerre d’Indipendenza non mancarono, prima del 1900, titoli di questo genere: ad esempio, a Milano nel 1872 la Casa Editrice Italiana di G. Guigoni stampò la traduzione di Notizie di un viaggio nella Luna dell’astronomo Giovanni Littrow, mentre tre anni dopo, nel 1875, è la volta di Un abitante del pianeta Marte del De Parville, in cui il corpo mummificato di un marziano viene scoperto all’interno di un aerolito; nello stesso anno appare in quel di Casale, presso la «tipografia sociale del Monferrato diretta da L. Mazzucco», il romanzo Nel 2073!, con il seguente sottotitolo: Sogni d’uno stravagante messi in carta per l’Avvocato Agostino della Sala Spada. È la storia del signor Saturnino Saturnini, operato al cervello dal Professor Rokroktwen e svegliatosi duecento anni dopo (tema che sarà poi di Wells e Salgari). Ancora a Milano nel 1884 si pubblica Dalla Terra alle stelle di Henry De Graffigny, un titoloche verrà ripreso a breve. A Firenze l’anno dopo, nel 1885, appare invece un testo ambizioso: Da Firenze alle stelle, del «tenente Ulisse Grifoni» (vezzo, quello di premettere il grado militare – vero o presunto – al nome dell’autore, che in seguito diverrà una vera mania…), professore di geografia, il quale ci racconta del Viaggio meraviglioso di due italiani e un francese che, ampliato nel 1887, si chiamerà Dalla Terra alle stelle: romanzo importante perché, con sedici anni in anticipo su I primi uomini sulla Luna di Wells, descrive una «casa volante» che viaggia nel cosmo grazie ad un metallo liquido spalmato sopra di essa e chiamato «reagente antigravitazionale».
Un’altra descrizione del futuro appare alla vigilia del nuovo secolo: la scrive il famoso (allora) poligrafo medico-igienista, nonché deputato della sinistra, Paolo Mantegazza, con il titolo L’Anno 3000. Sogno (1897), una classica utopia, ma all’italiana, in cui la scienza ha preso il posto delle ideologie e delle morali. E, tanto per far capire che certi argomenti interessavano, si può ricordare la traduzione del saggio Tra cent’anni di Charles Richet, con prefazione del sociologo Scipio Sighele, che nel 1895 ebbe almeno quattro edizioni.
Il periodo cruciale è proprio questo, la seconda metà dell’Ottocento. I singoli romanzi o saggi, infatti, indicano un gusto, una tendenza, ma non fanno opinione diffusa. C’è dunque bisogno di un altro mezzo per mettere alla portata di molte più persone queste tematiche “futuribili”.
La narrativa “popolare” e “di evasione”, come ben spiega Armando Silvestri nel suo saggio dedicato all’Italia in appendice alla antologia di Mike Ashley Porte sul futuro (Fanucci, 1978), cominciò a diffondersi nel nostro Paese intorno al 1830, quando già esistevano varie testate di divulgazione soprattutto scientifico-culturale (Annali universali di tecnologia, agricoltura, arti e mestieri, Milano, 1826; Il Solerte, Bologna, 1838; Museo scientifico, letterario e artistico, Torino, 1839), ma bisogna aspettare l’unificazione risorgimentale per poter effettuare un esame complessivo.
Tutto parte da due editori milanesi, Treves e Sonzogno, in concorrenza fra loro. Treves fondò L’Illustrazione popolare (1869), che divenne prima La Nuova illustrazione universale (1873) e quindi L’Illustrazione italiana (1875), prototipo delle riviste che ci interessano. Sonzogno, invece, rilevò i diritti di un popolare settimanale francese, il Journal des voyages (1877-1915, 1924-1929, 1946-1949), e lo fece uscire l’anno dopo, 1878, come Giornale illustrato dei viaggi. Non era certo la prima rivista di questo genere, ma essa ebbe sviluppi importanti, dal nostro punto di vista, che altre non ebbero. Infatti, sin dal 1863 il concorrente Treves pubblicava Il Giro del Mondo, giornale di viaggi, geografia e costumi, che s’intitolò Giornale popolare di viaggi nel 1871 e iniziò una “nuova serie”, sempre con lo stesso titolo, dal 1874 al 1880: settimanale di sedici pagine abbondantemente illustrate che pubblicava anche i “viaggi straordinari” di Verne a puntate. La rivista di Sonzogno aveva invece otto pagine in bianco e nero, con notizie dai Paesi esotici e narrazioni di avventure, il tutto tradotto dall’originale, almeno nelle prime due serie della rivista (1878-1891, 1897-1910). Nel 1913 assunse la direzione de Il Giornale illustrato dei viaggi Guglielmo Stocco e la terza serie, 1913-1937, sino alla morte del suo direttore nel 1932 e anche in seguito, comprese man mano sempre più firme italiane e sempre più argomenti esotici, fantastici, fantascientifici, misteriosi e diciamo pure gotici. Dopo una sospensione di quattro anni, e proprio in un momento di crisi della carta stampata a causa degli eventi bellici, la testata rivide la luce in un’ultima serie, la cui collezione completa, a quanto pare, esiste soltanto presso la Fondazione Rosellini di Senigallia: il titolo divenne Il Giornale dei viaggi e delle avventure, uscì in ottantasette fascicoli di sedici pagine dal 14 dicembre 1941 all’8 agosto 1943, con l’intento esplicitamente nazionalistico di mettere al bando tutti gli “americanismi” figurativi e narrativi. Anche se appaiono firme come quelle di Armando Silvestri e Guglielmo Stocco, non venne pubblicata vera e propria protofantascienza se non forse Il padrone del vento, «romanzo di incredibili avventure» di Augusto Bissiri, in cinque puntate nel 1942.
La vera svolta editoriale avvenne però il 6 gennaio 1890, allorché il quotidiano di Roma La Tribuna decise di pubblicare un supplemento settimanale illustrato, appunto La Tribuna illustrata, che, a differenza de L’Illustrazione italiana, almeno a partire dal 1893, era più agile, più snello, più efficace e quindi più “popolare”: alla informazione, scritta e fotografica, si aggiungevano brevi storie e novelle. L’idea verrà ripresa da altri quotidiani, in primis dal milanese Corriere della Sera che l’8 gennaio 1899 pubblicava La Domenica del Corriere che, almenosino all’epoca della Prima guerra mondiale,diede grandissimo spazio allanarrativa (romanzi a puntate e racconti).
Ecco, dunque, i principali punti di riferimento: da un lato le riviste di una certa diffusione definibili di cultura medio-alta e di informazione giornalistica e culturale, che hanno origine con L’Illustrazione italiana e proseguono con Psiche, La Lettura, Il Secolo XX, Noi e il mondo, eccetera; dall’altra le pubblicazioni di livello medio-basso e dunque più popolari e divulgative, di vasta diffusione, che hanno origine con La Tribuna illustrata e La Domenica del Corriere; infine, le riviste non solo popolari ma più specialistiche, cioè quelle dedicate alla narrativa avventurosa ed esotica, che più spesso di quanto non si creda ospitavano testi sia fantastico-gotici con propensione verso l’orrore e il sovrannaturale, sia protofantascientifici, che hanno origine nel Giornale illustrato dei viaggi cui si ispirò, ad esempio, il salgariano Per terra e per mare (1904-1906) edito da Donath di Genova, che chiuse quando il romanziere passò alla Bemporad di Firenze.
Il settimanale provocò subito una serie di imitazioni, sovente effimere: Viaggi e avventure per terra e per mare (1904-1906) dell’editore Gussoni di Milano, Il giornale dei viaggi (1905-1907) della Società Editrice Roma di Como-Milano, cioè A. G. Quattrini, Il vascello (1906) della Nerbini di Firenze, L’oceano (1906-1907) della Società Editrice Milanese, La sfinge (1907-1908) ancora della Società Editrice Roma, che si fregiava del sottotitolo – forse prima in Italia – di Rivista letteraria fantastica. Il termine bisogna intenderlo latu sensu, dato che all’epoca il “fantastico” comprendeva quanto non rientrava nella quotidianità e non soltanto nella realtà: sicché erano “fantastiche” anche le storie nei paesi esotici o che indagavano gli aspetti misteriosi della vita o personaggi fuori del comune che allora erano balzati all’interesse popolare: dai grandi criminali ai prestigiatori, dai fachiri agli ipnotizzatori, dagli avventurieri internazionali ai protagonisti di processi eclatanti.
È singolare e non ha una vera spiegazione sociale o culturale il fatto che nei primi dieci anni del Novecento vi sia stata una enorme proliferazione di tutto quanto sapesse di “fantastico” e “misterioso” nell’accezione sopra spiegata, di sensazionalistico a livello popolare. Forse vi fu una influenza reciproca fra le varie pubblicazioni: una imitò l’altra, a catena. Sta di fatto che anche nei fascicoli dedicati ad una singola persona, di solito polizieschi, gli aspetti orridi e pseudoscientifici abbondavano: si pensi alle popolarissime serie di “racconti completi” di trentadue pagine dedicate a Nick Carter, Nat Pinkerton e Giuseppe Petrosino, tutti fra gli anni 1906-1907 e con innumerevoli ristampe, tutti – fatto singolare – ideati e pubblicati a Dresda e Berlino e poi subito tradotti in italiano. Anch’essi contribuirono a creare un’atmosfera di suggestione “fantastica” grazie soprattutto alle spesso esotiche e truculente copertine originali tedesche.
Su tutti questi settimanali, e contemporaneamente su La Domenica del Corriere, vennero pubblicati racconti definiti «straordinari», «fantastici», «misteriosi», «incredibili» o «meravigliosi»: in sostanza, gli esatti aggettivi (amazing, astounding, fantastic, astonishing, wonder, eccetera) che campeggiavano sulle testate dei pulp magazines americani di fantascienza. In particolare, La Sfinge utilizzò testatine ricorrenti (ad esempio, I racconti misteriosi o I racconti fantastici), in seguito riprese tali e quali (cioè, non solo nella dicitura, ma anche nel disegno) dal Giornale illustrato dei Viaggi dopo il 1913.
Tutto questo fiorire di iniziative, ed il tipo di storie ospitate, colpì evidentemente sia La Domenica del Corriere, che ne incrementò la frequenza, sia la Società Editrice Milanese, quella de L’oceano diretto da Luigi Motta, che, sempre in quel periodo, nel 1907, affidò a quest’ultimo anche una specifica collana di piccole brochure di sedici pagine intitolata – prima nel suo genere in quanto testata – Biblioteca fantastica dei giovani italiani, facendo uscire due serie di otto titoli tutti scritti da autori italiani, Motta compreso, nonostante alcune firme esotiche. E poiché evidentemente l’argomento, come si suol dire, “tirava”, anche un’altra testata del Corriere della Sera, vale a dire il popolare Il romanzo mensile (nato nel 1903) ospitò nei suoi fascicoli molte storie fantastiche e fantascientifiche, soprattutto di autori inglesi e francesi (Rider Haggard, Leroux, Le Fanu, eccetera). Nello stesso periodo un’altra testata del Corriere, cioè La Lettura, che usciva dal 1901, bandiva nel 1904 un concorso letterario per «una novella di quelle così dette di genere fantastico»: ne giunsero duecento e le prime due avevano toni esplicitamente di protofantascienza. Vinse Ernesto Arbib con Un’esperienza decisiva del prof. Otto Brandt, storia di uno scienziato che con i suoi macchinari produce apparizioni straordinarie, pubblicato quello stesso anno; al secondo posto giunse un racconto ancor più originale dal nostro punto di vista, Ciò che accadde a noi tutti il 9 settembre 190… di Secondo Lorenzini, sulla caduta della Luna sulla Terra, pubblicato due anni dopo, nel 1906.
La testata forse più importante di tutte quelle citate per durata, quantità e qualità di produzione, fu Il Giornale illustrato dei viaggi, con le altre due pubblicazioni che lo affiancarono, il mensile Il romanzo d’avventure (dal 1924 al 1936 per 151 fascicoli) e L’avventura, dal sottotitolo Settimanale dei più drammatici racconti del mondo (1928-1929, per sessanta fascicoli) in cui venivano ristampate le storie in precedenza apparse su Il giornale illustrato dei viaggi. L’importanza de Il romanzo d’avventure è data dal fatto che, sotto l’impulso di Stocco, accanto ad avventure “salgariane” e a nomi stranieri anche famosi (London, Wells, Poe, Stevenson, eccetera), vi apparvero romanzi fantastici e protofantascientifici italiani (divisi anche in due o tre fascicoli di sessantaquattro pagine ognuno) scritti dallo stesso direttore e da altri come Gastone Simoni, Ciro Khan (singolare pseudonimo napoletan-mongolo di Antonio Prestigiacomo), Fernando Zanon, Giuseppe Amato, Alfredo Pitta, Ugo Mioni, Italo Vitaliano. Per quasi tredici anni si può considerare la collana popolare che ospitò il maggior numero di questo genere di opere.
Accanto a questi periodici si possono poi porre le vere e proprie riviste a fumetti, a partire da L’Avventuroso e L’Audace, entrambe del 1934, che pubblicarono vari romanzi avventurosi a puntate con varie sfumature fantastiche e futuribili e addirittura risvolti “politici”, come Segreto di Stato. Romanzo d’avventure del 2000 (1937) di Paolo Lorenzini, che si firmava anche “Collodi nipote”, apparso prima a puntate su L’Avventuroso e poi in volume, e Il paese senza cielo di Giorgio Scerbanenco, pubblicato anch’esso a puntate ma su L’Audace nel 1939, però mai riunito all’epoca in volume.
Tutte queste furono pubblicazioni dedicate a lettori in parte dissimili e in parte intercambiabili, sia per contenuto che per prezzo (quindi adatte ad un pubblico di estrazione sociale – e di cultura – diverse): solo per fare un esempio, nel 1924, La Domenica del Corriere, di 16 pagine, costava 20 centesimi, il Giornale illustrato dei viaggi, 16 pagine, 35 centesimi, Le grandi firme, 48 pagine, 1,50 lire, Il Secolo XX, 80 pagine, 3 lire.
Ovviamente, quando si parla di letteratura “popolare” e “d’evasione” in questo periodo di tempo, si pensa non solo ai periodici come sin qui fatto, ma anche ai libri, che ebbero forse minore diffusione dei primi ma contribuirono anch’essi a consolidare un gusto che non fu per niente “realistico”. Una rapida ricognizione serve a rendere l’idea, e allora chiediamoci: cosa leggevano i ragazzi dell’Italietta giolittiana, prima della Grande Guerra? Non solo Salgari! Anche le avventure interplanetarie, fra l’ironico e il grottesco, di Enrico Novelli, in arte Yambo, disegnatore senza pari e narratore sui generis che: ed ecco le aeronavi di Capitan Fanfara (1904), il bolide spaziale de Gli esploratori dell’infinito (1906), la vita sulla Luna de La colonia lunare (1908), che spesso e volentieri satireggiavano Verne. Si intrecciano a queste visioni scientifiche e del futuro, ancorché paradossale (Yambo è un po’ il Robida italiano), quelle più serie e spesso drammatiche di Emilio Salgari, con Lo Sparviero, macchina volante mossa ad aria liquida che compare ne I figli dell’aria (1904) e Il re dell’aria (1907), o con le problematiche visioni del futuro esposte ne Le meraviglie del duemila (1907).L’influenza di Verne e Wells si faceva sentire, ma era rielaborata in maniera autonoma. Si pensi ad esempio ad alcune opere di monsignor Ugo Mioni come il singolare (sottotitolo: Bizarria) Alla scoperta della Terra (1913), in cui i civilissimi Marziani discutono dell’abitabilità del nostro pianeta e del modo di esplorarlo; oppure a La cronaca impossibile di Caterino Tutù (1917) di Gian Bistolfi, un viaggio nelle “meraviglie della scienza” che sotto certi aspetti ricorda Il mago di Oz per la sua propensione al nonsense e a certe paradossali invenzioni.
Il filone non s’interrompe, come in qualche occasione è stato detto, con l’avvento del fascismo, talché non si può dire che vi sia stata alcuna cesura con la precedente ispirazione: anzi, la produzione d’avventura per ragazzi s’incrementò e nell’ambito di questo sviluppo trovarono spazio romanzi avveniristici, interplanetari e di speculazione scientifica d’ogni genere sia in libri rilegati, sia in brochure settimanali e mensili, sia a puntate nelle riviste a fumetti, come già detto.
Da questo punto di vista, sarebbe necessario un esame dettagliato della vasta produzione avventurosa di Luigi Motta, autore emulo di Salgari sin troppo prolifico, con almeno centocinquanta romanzi nella sua carriera, moltissimi dei quali rientranti nella nostra categoria. Insieme a Calogero Ciancimino firmò altri romanzi, spesso sconfinanti nel puro avvenirismo, scientifico e sociale, storico e bellico, con in primo piano – secondo il gusto e l’atmosfera dell’epoca – l’Italia e gli eroi italiani: si pensi a Il prosciugamento del Mediterraneo (1923) a doppia firma, o a Come si fermò la Terra (1936) del solo Ciancimino, in cui, descrivendo le guerre rispettivamente del 1956 e del 3000, non si è da meno (forse, anzi, di più) della contemporanea super-scientifiction che appariva nei pulps statunitensi.
E i robot? Non sono esclusivo appannaggio di questi ultimi. In Il gigante dell’Apocalisse (1930) Giovanni Bertinetti, prolifico autore di falsi salgariani, immagina una storia prettamente hollywoodiana: nel senso che il gigantesco robot volante del Dottor Kramer rapisce proprio una star! Mentre il tentativo di conquistare il mondo con un esercito di “automi” viene descritto da Ciro Khan (o Kahn) ne L’uomo di fil di ferro, non privo di interessanti risvolti psicologici, pubblicato in un albo de Il romanzo d’avventure nel 1932.
Il libro di Bertinetti è illustrato da un classico disegnatore dell’epoca, Carlo Nicco. Molta della suggestione di queste opere, sia per ragazzi sia per adolescenti e adulti, spesso deriva dagli autori delle copertine e degli interni: si pensi a Yambo e a Rubino, ma anche agli epigoni del futurismo come un insolito Golia (Ipergenio il Disinventore ancora di Bertinetti, 1925) o quelle che sembrano ispirarsi alla produzione americana dei citati Il prosciugamento del Mediterraneo e di Come si fermò la Terra. In questo genere si cimentò anche Garretto, poi famosissimo per le sue caricature, soprattutto di politici, con una copertina decisamente spaziale e astronautica per La rivista illustrata del Popolo d’Italia del gennaio 1939, un mensile sempre ricordato e citato per le sue belle copertine stile littorio dovute spesso ad artisti famosi come Sironi.
E, se si prendono in considerazione le immagini di copertina, ci si deve riferire anche ai testi di una divulgazione scientifica “popolare” che, con le loro speculazioni proposte ai lettori in base ai dati disponibili e con un tocco di fantasia, contribuirono a tener vivo un clima “avveniristico”. Tanto per fare qualche esempio, si può iniziare con Che avverrà? Il domani del mondo di H. G. Wells (Bemporad, 1915), per continuare con Enigmi della scienza moderna: realtà di domani di Egisto Roggero (Hoepli, 1930) e con …et Ultra di C. Rossi (Hoepli, 1933) entrambi con razzi in volo verso il cielo sullo sfondo di città del futuro.
Non bisogna aggiungere altro per sostenere che l’affermazione troppo spesso ripetuta secondo cui l’Italia, mentre in altre nazioni occidentali nasceva una narrativa “fantascientifica”, era sottosviluppata da questo punto di vista, è un falso clamoroso, un luogo comune che rimbalza qua e là senza essere approfondito. Certo, forse la quantità e la diffusione della narrativa avveniristica del nostro Paese non sono paragonabili a quelle di altri, ma non sono esclusivamente questi i parametri che contano. Del resto, come si è detto, più si approfondiscono le ricerche e più materiale del tutto inaspettato viene alla luce, anche nei periodi considerati più “oscuri”, per scontata definizione della nostra storia. Romanzi, racconti, illustrazioni, fumetti, opere teatrali, scenografie, fotomontaggi, narrativa per bambini, ragazzi e adulti, saggistica al limite della speculazione scientifica e già quasi fantascienza, contribuiscono a creare una sottile ma ininterrotta linea ispiratrice (parlare di “tradizione” l’ho sempre considerato eccessivo, meglio allora una “tentazione”) che dall’inizio dell’Ottocento giunge sino agli anni Cinquanta del Novecento allorché sbarcò in massa la science-fiction americana e si chiamò fanta-scienza.
Bibliografia ragionata
Esiste un unico testo che si occupa specificatamente di protofantascienza italiana, con saggio introduttivo e un’antologia di trentanove racconti: Le aeronavi dei Savoia, a cura di Gianfranco de Turris, con la collaborazione di Claudio Gallo, Nord, Milano 2001.
Ad esso si collega direttamente Viaggi straordinari tra spazio e tempo, a cura di Claudio Gallo, Biblioteca Civica, Verona 2001 (catalogo della mostra omonima dedicata alla fantascienza italiana dall’Ottocento in poi, in occasione della quale venne pubblicato Le aeronavi dei Savoia).
Si può affiancare Dalla Terra alle stelle. Tre secoli di fantascienza e utopie italiane, a cura di Giuseppe Lippi, Biblioteca di Via Senato, Milano 2005 (illustratissimo catalogo della mostra omonima del “fondo fantascienza” della Biblioteca di Via Senato suddivisa in sette sezioni).
In seguito sono apparse altre antologie che hanno pubblicato le storie ospitate su riviste singole o più testate e brani di romanzi, ma dedicate prevalentemente alle varie declinazioni del “fantastico” in Italia, quindi anche orrore, sovrannaturale, gotico, nero, eccetera, e che comprendono anche a margine qualche esempio di protofantascienza.
A monte di questo interesse ci sono almeno tre antologie “storiche”: Notturno italiano, a cura di Enrico Ghidetti e Leonardo Lattarulo, Editori Riuniti, Roma 1984, 2 voll. (pionieristica e fondamentale opera che ha aperto la strada alla riscoperta del genere dal punto di vista della ricostruzione di una traduzione italiana sotterranea del fantastico nei grandi autori, con un volume dedicato all’Ottocento e uno al Novecento); Da uno spiraglio, a cura di Riccardo Reim, Newton Compton, Roma 1992 (racconti ed estratti di romanzi neri e fantastici dell’Ottocento italiano); Enciclopedia fantastica italiana, a cura di Lucio D’Arcangelo e Fausto Gianfranceschi, Mondadori, Milano 1993 (storie fantastiche, surreali, magiche, favolistiche e nere di noti autori della letteratura italiana dell’Ottocento e Novecento).
Quindi: Per terra e per mare. Avventure immaginarie, a cura di Claudio Gallo, Aragno, Torino 2004 (antologia dei racconti apparsi sull’omonimo settimanale diretto da Emilio Salgari); Il Giornalino della Domenica. Antologia di fiabe, novelle, poesie e racconti (1906-1911), a cura di Claudio Gallo, Bonomi, Reggio Emilia 2007 (l’antologia si occupa soprattutto del protofumetto dedicato ai giovani e giovanissimi lettori, ma i testi talvolta hanno evidenti componenti fantastiche); Il cuore oscuro dell’Ottocento, a cura di Riccardo Reim, Avagliano, Roma 2008 (amplissima carrellata soprattutto di brani di romanzi popolari divisi per argomento, che spazia dal realismo sociale al misterioso, dal gotico al grand guignol); Ottocento nero italiano, a cura di Claudio Gallo e Fabrizio Foni, Aragno, Torino 2009 (racconti ed estratti di romanzi, fantastici, dell’orrore e sovrannaturale, con alcuni esempi di protofantascienza).
Infine, due saggi, uno specifico ed uno generale: Fabrizio Foni, Alla fiera dei mostri, Tunué, Latina 2007 (con illustrazioni e dettagliate bibliografie, è una fondamentale analisi storico-critica e tematica di giornali, periodici, riviste e collane popolari che nel periodo 1899-1932 hanno pubblicato in Italia fantastico e protofantascienza); Valentino Cecchetti, Generi della letteratura popolare, Tunué, Latina 2011 (con illustrazioni e bibliografie, è un utile panorama della storia, sviluppo, evoluzione della letteratura popolare italiana nei suoi diversi aspetti dalla metà dell’Ottocento a oggi, attraverso feuilletons, fascicoli e “romanzi completi”).
Infine, un testo molto particolare: Neogotico tricolore. Letteratura e altro, a cura di Enzo Biffi Gentili, Fondazione Cassa di Risparmio, Cuneo 2015 (atti del convegno omonimo, seconda parte del “Progetto Cuneo gotico”, comprendente dieci saggi che affrontano anche la protofantascienza, in appendice numerose illustrazioni, splendidamente realizzato e impaginato).