Prima che Michel Maffesoli partecipasse alla presentazione di Le temps revient: Formes élémentaires de la postmodernité a Montpellier (Francia), Simon Dawes lo ha incontrato in albergo per parlare di postmodernità, situazione della sociologia in Francia e sul come abbandonare la casa in fiamma della modernità.
Simon Dawes: per cominciare, stai per partecipare a una conferenza stasera sulle forme elementari della postmodernità. Cosa sono queste forme elementari:
Michel Maffesoli: la definizione “forme elementari” è ovviamente da riferirsi a Durkheim, ma seppure io lavori al Durkeim Centre, non sono un seguace di Durkheim. La mia intenzione era quella di enunciare, nel modo più accademico possibile, i nuovi valori di questa società che, in mancanza di meglio, possiamo definire “postmodernità”. Per questo ho usato l’espressione “forme elementari”. Sto cercando da 40 anni di spiegare questi elementi basilari, enunciandoli in modo semplice da capire, come se fossero mattoncini della Lego. Nei miei libri, ho evidenziato tre mattoncini: il tribalismo, il nomadismo e l’aspetto dionisiaco. Nel mio nuovo libro, Le temps revient, ne ho aggiunto un altro affermando come queste forme siano antiche, arcaiche, e che sono favorite dai nuovi strumenti tecnologici, come Internet.
SD: e che dire del termine stesso “postmoderno”? Circa negli ultimi 20 anni, un numero di concetti sono stati proposti, in particolare nella letteratura anglosassone, per esprimere la “postmodernità”: iper, seconda, tarda, liquida, autoreferenziale, meticcia, fino all’idea di molteplici modernità. Ritiene il termine “postmodernità” come relativamente più adatto per descrivere la società attuale?
MM: Possiamo fare un esempio storico molto semplice: il mondo “moderno” fu così definito in Francia dalla penna di Baudelaire nel 1848. Prima di tale data si parlava di “post-Medioevo”. Come ha ben mostrato Weber, i tre grandi valori su cui si è costituita la modernità sono stati: la ragione, il progresso e il lavoro. Se continuo con gli esempi francesi, la modernità prodotta da Descartes, il cartesianesimo, la filosofia dell’Illuminismo, Rousseau, Voltaire, ecc. e poi i grandi sistemi sociali del XIX Secolo che hanno elaborato questi tre valori, si basano su queste tre parole chiave. E’ stato solo a metà del XIX secolo che abbiamo definito “moderna” questa società che era in realtà cominciata nel XVII Secolo. Ciò dimostra che queste cose richiedano tempo. Qualcosa di simile sta succedendo adesso: assistiamo a una lenta degradazione di questa tre valori chiave e l’emergere di qualcos’altro. Possiamo vederlo chiaramente se analizziamo come negli anni ’50 del 900 ci fosse una maggiore concezione estetica del mondo, attraverso il design e l’architettura; e possiamo anche vederlo con le proteste studentesche del ’68, in cui il lavoro non è più ritenuto un valore fondamentale; e possiamo ancora vederlo chiaramente in come il progresso ceda il suo posto a qualcosa di diverso. Siamo ora in un momento nel quale non ci sono più valori guida (dato che ufficialmente esistono ovviamente essi hanno ancora una certa attrazione); ci troviamo in un periodo successivo a uno in cui quegli stessi valori erano invece dominanti. Per dirla in parole povere, io sono tra quelli che chiamano questo periodo “postmodernità”, che è il periodo successivo a quello basato sui valori “moderni”. Ora, a me non piacciono le espressioni che hai utilizzato: seconda, avanzata, automodernità, ecc. So che un certo numero di miei colleghi in Francia preferisce utilizzare questi termini. In profondità, questa attitudine a utilizzare questi termini mostra che si vuole salvare la modernità. Questi termini mostrano che siamo spaventati dal fatto che qualcos’altro stia nascendo, che le giovani generazioni (cosa che mi interessa molto) non riconoscono più questi tre valori. Gli intellettuali (sto parlando solo di quelli in Francia, non degli altri che non conosco abbastanza) sono fissi su questi valori moderni, quindi utilizzano questi termini (come “altra modernità”), ma semplicemente, nel profondo, lo fanno perché questa classe, questa elite, condivide questi valori ed è quindi spaventata che essi possano scomparire. “La casa è in fiamme, quindi dobbiamo salvare i mobili”, diciamo in Francia – e in effetti, utilizzando questi termini, stanno cercando di salvare i mobili. Io invece dico “no”; se la casa sta bruciando, deve bruciare…. Lasciamo che bruci. Piuttosto che essere spaventati, dobbiamo accettare che per queste giovani generazioni, al posto del lavoro, ci sia la creatività; al posto del futuro, ci sia il presente; invece che la ragione, ci sia l’immaginazione. Queste per me sono le tre parole chiavi (creatività, presente e immaginazione) di questo momento che, fino a che non troveremo il termine corretto, chiameremo postmodernità. Questa è la mia posizione, come io vedo le cose; ma è solamente una mia posizione. Non voglio che il termine “postmodernità” diventi un feticcio; ma non siamo più nella modernità e dobbiamo accettarlo, e non dovremmo essere spaventati da ciò che è nato. Ho avuto un dibattito con Anthony Giddens in Giugno, abbiamo entrambi vinto il Premio Europeo per le Scienze Sociale, e in quell’occasione venne organizzato tale dibattito. Lui è molto conservatore; ora è Lord Giddens, ovviamente, e non ha più preoccupazioni intellettuali – è un politologo, direi. Ma a ben vedere, non è in disaccordo con me, ma, allo stesso tempo, la sua posizione è più politica che intellettuale – non lo dico per sminuirla, anche lui stesso lo riconosce. Un’altra persona che stimo enormemente è Zygmunt Bauman; siamo molto vicini. Lui mi cita nel suo libro; io non lo cito perché non ho realmente letto i suoi libri. Però penso che la sua idea di “modernità liquida” non sia fondamentale per lui. Questa liquidità, questa morbidezza, la riconosce nella “postmodernità”, ma lui ha creato questa idea (questo oggetto da merchandising) di “modernità liquida” perché si vende bene. Ma, fondamentalmente, penso che lui sia più che altro postmodernista, e quando ne parliamo a voce tra di noi lo riconosce lui stesso, anche se non lo metterà mai per iscritto.
SD: E che dire delle persone che non usano più termini come modernità (o postmodernità), e che usano termini come neoliberismo o biopolitica invece? Cercano forse di essere più specifici, di descrivere qualcosa in modo più concreto, di enfatizzare forse il ruolo dell’economia? Non sono termini come questi più utili a capire i cambiamenti rispetto a concetti più vaghi quali postmodernità?
MM: No, penso che “postmodernità” sia più pertinente in termini scientifici per il suo prefisso “post”. In Francia (non so in Inghilterra), quando gli storici parlano di “storia moderna” si riferiscono a qualcosa che inizia dopo il Rinascimento e che finisce alla fine del XIX secolo. Dopodiché, abbiamo la “storia contemporanea”. Il termine “moderno” è molto preciso – inizia dopo il Rinascimento fino alla fine del XIX Secolo. Quindi non dovremmo usare il termine “moderno” per l’epoca in cui viviamo, ma dovremmo chiamarla “contemporanea”. Ma perché “postmodernità” è utile? E’ difficile da dire e da capire, e dal mio punto di vista, è qualcosa che ho cercato di descrivere in tutti i miei libri negli ultimi 40 anni, al fine di mostrare come le parole chiave della modernità non funzionino più, in particolar modo l’economia. C’è quindi un dibattito sul liberismo, che è un dibattito anche sulla modernità, e la differenza tra socialismo e liberismo del XIX Secolo, che in realtà non era una vera differenza, perché condividevano entrambi la stessa concezione del mondo, cioè l’economicizzazione, il produrre e il consumare. Non siamo più nella società risparmia/produci/consuma, ma siamo in una società della consumazione (nel senso dell’“esaurire”, o “dell’uso eccessivo” piuttosto che del semplice “uso” – della “consumazione” piuttosto che del “consumo”). Possiamo dire “io preferisco il socialismo”, “io preferisco il liberismo”, “io l’economia centralizzata”, ma si resta sempre nell’economicismo. E’ fondamentalmente una concezione economica del mondo, e io penso che l’economia non funzioni più. Questa è la postmodernità, e questa visione economicista del mondo – che ci ha dato buone cose, la società moderna in cui viviamo (non voglio sputare nel piatto in cui mangio, o essere ingrato) – non funziona più. Non è la crisi economica. E’ la follia dei subprime, la follia della finanziarizzazione – una follia che ha una logica. Quando guardiamo attentamente a quanto è accaduto con i subprime e i traders, cosa notiamo? E’ semplice. Ho pensato molto a Jerome Kerviel, il trader de La Societé Generale che ha perso 4 o 5 miliardi di Euro. Non ne ha beneficiato personalmente. Quello che lo ha spinto è stato una motivazione all’agire, l’adrenalina, la sensazione di stare giocando. Ciò dimostra che Madoff, Kerviel, e gli altri traders non agiscono più con una logica economica, ma con la logica della follia, che ti può trascinare in un vortice. Fondamentalmente, è la nozione di economia che è satura, ora dobbiamo passare a qualcos’altro. Non servono capacità intellettuali per capire che non si può rimanere attaccati al modello economicista; c’è qualcos’altro che sta accadendo. Le giovani generazioni non sono più interessate alla politica o al lavoro. Dico spesso ironicamente che la loro vita ideale non è più avere un mutuo per comprare una casa. Non vogliono possedere una casa, che vedono in definitiva come una tomba, per la semplice ragione che oggi si sposano e domani divorziano. Quindi, la grande idea dell’economia – sia essa macro o micro – che consiste nel risparmiare e investire, non funziona più. A livello macro, lo vediamo chiaramente con la deregolamentazione; a livello micro, col fatto che si consuma più per sprechi che non per utilizzo. Quindi sostengo il termine “postmodernità” perché evidenzia come la casa stia bruciando e che qualcos’altro sta accadendo; quindi, non possiamo salvare la casa continuando a pensare in termini economici.
SD: per concludere rapidamente sul termine “postmodernità”, prima di discutere di altro, il fatto che insisti nell’usare tale termine, che deriva da “modernità”, mostra che tu stesso sei spaventato dalla fine della modernità e che stai tentando anche tu di salvare la casa?
MM: E’ vero che potrebbe essere interpretato così, ma non sono spaventato. Il termine “post” è una parola forte. E’ una logica discorsiva molto differente utilizzare la definizione “seconda modernità” o “postmodernità” – siamo da qualche altra parte. E’ solo che non ho trovato il termine giusto. Tutto qua. Sarò ancora più specifico. Possiamo definire qualcosa solo se esso è iniziato ed è finito. Quando Baudelaire definisce la modernità, nel 1848, essa sta già per finire. Il grande secolo della modernità è stato il XIX. Quando noi definiamo un’epoca, sappiamo che essa sta per finire. Una coppia non parla mai dell’amore, fino a che non si sta per lasciare. Quando una coppia va bene, non ha bisogna di parlare dell’amore. Nel nostro caso, parliamo di modernità perché questi suoi grandi valori si stanno esaurendo o non funzionano più bene. E, in effetti, ora noi siamo in questo periodo, dopo la modernità, ma non ne sappiamo il nome. Quando saremo in grado di dargli un nome, ciò avverrà perché sarà finito. Allora ci sarà il termine giusto, ma non lo troverà la mia generazione. CI sarà un termine più pertinente per descrivere quello che stiamo vivendo, quello che avremo vissuto; ci sarà un termine per descrivere quello che la modernità è stata e uno per descrivere quello che ci sarà stato dopo la modernità. Così come Medio Evo fu un’espressione utilizzata per descrivere quello che venne dopo l’Impero Romano. Per questo, al momento, è necessario avere un termine provvisorio: “postmodernità”. Non c’è alcun feticismo.
SD: Passiamo ad altro … hai scritto circa la fine dell’individualismo e del ritorno all’ideale collettivo. Pensi che ideologie come il comunismo possano ritornare, come fenomeno significativo, come risultato dell’attuale crisi economica e quanto potrebbero essere efficaci – o si tratta solo di un altro concetto moderno progettato per impedire che la casa bruci?
MM: ovviamente siamo un po’ intrappolati con la questione dei termini. E’ sempre un po’ difficile. Io sono stato molto influenzato da Focault, specialmente con Le parole e le cose. Devi sempre trovare i nomi che corrispondono alle cose, ma non è facile perché i nomi sono come i soldi falsi. Il termine “collettivo” non è in realtà adatto. Il termine che volevo usare, e che ora utilizzo sempre di più, è “comunitario”. Preferivo usare il termine “tribale”, che mi sembrava essere una metafora più facile da utilizzare. Ti dico anche il perché: perché nella tradizione culturale francese, la parola “comunità” aveva una connotazione Cattolica, o Cristiana, che non volevo usare. Quindi, “tribù” era una metafora per mostrare il ritorno a ciò che era prima di noi stessi. Ma, ora, preferisco usare il termine “comunità” perché ha perso parecchio della sua connotazione religiosa. Se potessi cominciare daccapo, userei il termine “comunità” dall’inizio – col passare degli anni sono diventato meno violento! Col comunismo è lo stesso; il comunismo ha avuto la sua grandeur. Sono sempre stato contro i comunisti, per inciso – ero contro sia i “preti rossi” (i comunisti) che quelli neri (i cattolici)! Il comunismo appartiene al mondo moderno. Usavo anche il termine “borghesia”, per descrivere simultaneamente sia il socialismo che il liberismo; questi settori dell’era borghese, entrambi della stessa famiglia, fanno tutti e due riferimento alla trinità della modernità (ragione, progresso, lavoro). Quello che per me è importante è che non vi sia più individualismo, perché durante il periodo borghese, quello che era essenziale era l’economia della salvezza: io sono un individuo, tu sei un individuo, siamo uniti solo da un contratto; che si parli di capitalismo o di comunismo, si tratta sempre della stessa concezione dell’individuo all’interno del contratto sociale. Marx e Lenin (sono stato un buon studioso di Marx da giovane; ho studiato la tradizione occidentale, la filosofia marxista, e tutto il resto) erano fanatici sostenitori della Rivoluzione Francese, la vera rivoluzione, l’unica che ha funzionato, e questo per l’idea borghese. Ma la mia posizione è l’idea tribale, e cioè che vedremo sempre più piccole tribù caratterizzate da elementi di base come la condivisione dei gusti sessuali, culturali, sportivi. Si tratta più di aspetti culturali che di civiltà. Attraverso tentativi ed errori, troveremo l’equilibrio; non siamo più in un sistema di Stati, nello schema uniforme degli Stati, e questo farà scorrere sangue. La mia ipotesi, magari mi sbaglio, è che troveremo un modo, e sarà come un mosaico, dove ognuno manterrà la propria specificità, ma ci sarà comunque una coerenza di fondo. Quindi non si tratta né di collettivismo né di comunismo; né di capitalismo né di liberismo; ma sarà la persona a essere importante, non l’individuo ma la persona; non il contratto ma il patto.
SD: Ultima domanda. Ci sono state molte controversie su di te in Francia, in particolare sulla mancanza di scientificità nel tuo lavoro; i tuoi vari incarichi nelle istituzioni accademiche; e sulla tua difesa della tesi astrologica di Elizabeth Teissier. Potresti dire che tutte queste critiche provengono da una prospettiva modernista che vorrebbe fermare l’incendio della casa? E come giudichi il consensus sociologico e lo stato della sociologia in Francia?
MM: Nello stesso tempo in cui ho pubblicato il mio nuovo libro, Le Temps Revient, ho dato alle stampe anche la nuova edizione di La République des Bons Sentiments (Le Rocher, 2008), una critica all’idea francese di repubblica e individuo, alla quale ho aggiunto 2 o 3 violenti pamphlets contro i miei colleghi. Ho sempre pensato che sia la mia posizione sulla postmodernità a non piacere ai miei colleghi. Sostengono che il mio lavoro non sia scientifico semplicemente perché metto in discussione i valori della modernità. L’”affare Teissier” e le critiche che ho ricevuto a questo punto della mia carriera sono state usate come pretesto; non hanno mai accettato per esempio il mio ruolo alla Durkheim Chair. Ci sono due aspetti della vicenda. Il primo è che la sociologia in Francia non è più di alto livello. Quando ho iniziato la mia carriera, c’erano grandi nomi in giro, e questi grandi nomi non mi hanno mai criticato; nemmeno Bourdieu mi ha mai criticato, neppure per l’“affare Teissier”, mentre la seconda generazione di sociologi l’hanno usato come pretesto per criticare la mia posizione sull’emergere della postmodernità. Il secondo aspetto: molti dei miei colleghi (starai cominciando a capire che non ho molta stima nei loro confronti) hanno un’attitudine nei miei confronti che è molto semplice: in termini etimologici, sono dei borseggiatori – rubano dal mio portafoglio: “vita di tutti i giorni”, “l’immaginario”, termini come questi, che io avevo sviluppato, vengono utilizzati da qualche mio collega come un po’ di Canada Dry, un sostituto per il buon alcohol che proponevo io. Quindi, attaccare me è stato anche un modo per nascondere il fatto che mi abbiano scippato. Mi hai fatto una domanda e ti sto rispondendo sinceramente. Due aspetti: ho messo in discussione il loro modo chiuso di pensare; mi hanno scippato le idee. Quella tesi di astrologia è stato un buon pretesto per attaccarmi. Sono felice di aver analizzato tale tesi, e se mi ricapitasse l’occasione lo rifarei e insisterei con questa tesi in particolare. Quando sappiamo che un francese su due consulta l’oroscopo dobbiamo cercare di capire questo fenomeno sociologicamente. Sono stato il primo a dire, nel contesto della vita di tutti i giorni, che dovremmo studiare l’astrologia; adesso è di moda farlo. Quando ho diretto degli studi sull’omosessualità, circa nel 1980, sono stato accusato di aver portato l’omosessualità nella Sorbona, in quanto eseguivo tali studi presso nightclub e locali simili, cosa che questi sociologici avevano paura di fare. La mia posizione è weberiana – un fatto sociale può diventare un fatto sociologico. Non credo nell’astrologia a non sono omosessuale, ma non credo che possiamo, o dovremmo, ignorare questi fenomeni sociali. Fin da circa il 1980 ho deliberatamente sostenuto tesi che probabilmente non avrei dovuto sostenere.
SD: Anche Adorno ha scritto di astrologia, ovviamente, ma in modo diverso …
MM: Adorno ha avuto una grande influenza nella mia gioventù, ma, come penso per la Scuola di Francoforte, anche lui è ormai datato; è interessante vedere la sua posizione sull’astrologia, come la sua opinione sul Jazz – cosa avrebbe pensato oggi della techno, mi chiedo! Leggo ancora la Scuola di Francoforte, ma per me è superata, è “moderna”!
Traduzione a cura di Manuel Zanarini
(Intervista rilasciata da Michel Maffesoli a Simon Dawes, editore del Theory, Culture & Society – Global Pubblic Life, https://www.theoryculturesociety.org/, in data 06/12/2010)