L’agricoltura moderna non solo inquina il suolo, ne rovina la ricchezza di nutrienti e mina la biodiversità, ma porta anche a un completo sconvolgimento dei valori.
In un mondo in cui le aziende transnazionali specializzate in agrochimica e farmaceutica si associano per coprire il mercato globale dei pesticidi e delle piante geneticamente modificate, la biodiversità e anche i valori tradizionali legati alla terra non sono altro che un vago ricordo. Dovremmo pentirci di questo cambio di paradigma? Mentre l’Institute Iliade dedica il suo simposio del 25 aprile 2020 al tema «La natura come fondamento», pubblichiamo questo contributo dedicato a un libro di Manasobu Fukuoka, La rivoluzione del filo di paglia, dove il saggista giapponese ci invita ad una riflessione tutta orfica di fronte agli eccessi promoteici di un’umanità “fuori dalla terra” …
«L’obiettivo finale dell’agricoltura non è produrre i raccolti, ma la coltivazione e la realizzazione degli esseri umani»
Sconcertante, sorprendente, il pensiero di Manasobu Fukuoka ne La rivoluzione del filo di paglia non lascia affatto indifferenti. Senza concessioni, ma con semplicità e poesia, il contadino giapponese si rivolge all’umanità prossima all’annegamento: nel moderno Lete degli Inferi, l’uomo ha sconfessato la questione della sua condizione umana adottando la religione del progresso… Fukuoka ci esorta a seguire il suo esempio ricostruendo la società di un tempo: una società agraria, disinteressata, dove la natura occupa il centro della nostra vita.
In La Rivoluzione non c’è da una parte il manuale iniziatico all’agricoltura selvaggia e dall’altra il saggio filosofico sul senso della vita. Secondo Fukuoka, queste sono due facce della stessa medaglia. Infatti, quando un contadino cambia il modo in cui coltiva i suoi campi, cambia il nostro cibo, cambia la società, e quindi cambia i nostri valori. La storia dell’agricoltura è quindi intimamente legata a quella delle società umane. In quanto tale, Fukuoka intende ricordare all’uomo prometeico – ciò che siamo diventati con l’aiuto della scienza – il suo vero posto nell’ordine delle cose: noi che non abbiamo creato né il mondo né gli esseri viventi dobbiamo rimanere umili e vivere utilizzando la vita, non creandola. Applicando questo adagio con determinazione, Masanobu Fukuoka ha dedicato la sua vita allo sviluppo dell’agricoltura selvaggia. Infatti, dopo quarant’anni di tentativi ed errori, è riuscito a perfezionare un metodo di coltivazione del riso che non richiede macchinari, prodotti chimici o allagamenti cronici dei suoi campi durante la stagione vegetativa. Non ara mai, non diserba mai e non usa compost. Ha solo imparato ad ascoltare la natura e a lasciare che sia.
«Credere che attraverso la ricerca e l’invenzione l’umanità possa creare qualcosa di meglio della natura è un’illusione.»
L’agricoltura moderna non solo inquina il suolo, ne rovina la ricchezza di nutrienti e mina la biodiversità, ma porta anche a un completo sconvolgimento dei valori. Fukuoka denuncia l’affermarsi di una nuova visione del mondo e dell’uomo attraverso il filtro economico e produttivo dell’agricoltura intensiva. E’ qui che i due mondi si scontrano: il mondo sacro e della tradizione contro quello della scienza, dell’efficienza, del denaro e del potere. Se l’economia è la misura del tutto, l’umanità è perduta. Si allontana. Va nel verso sbagliato. In una vita piena, come la concepisce Fukuoka, c’è solo il rapporto con la terra che conta; non esiste una mappa, solo un territorio ricco e fertile.
«Il cibo è vita e la vita non deve discostarsi dalla natura»
Così Fukuoka vuole offrire al mondo razionalizzato un’altra prospettiva. L’agricoltura selvaggia è un rifugio sicuro di fronte alla modernizzazione del mondo. Sottolinea, infatti, l’importanza di preservare la dimensione relazionale e dialettica che naturalmente esiste tra l’uomo e la natura che lo circonda. Liberato dallo scientifico, dal superfluo, dalla sua logica di discriminazione e di desiderio, l’uomo riscopre la sua umanità. Può consacrarsi nuovamente alle cose semplici e reali: osservare la bellezza della campagna, andare a caccia o scrivere haiku, le poesie giapponesi, come nei tempi antichi. Non è più assoggettato ai bisogni della produzione di massa che lo stordisce, ma solo alla terra che lo nutre.
«Servire solo la natura e tutto andrà bene»
Solo contro tutti, Fukuoka non ha lasciato che la scienza si impadronisse dei suoi campi, che erano ugualmente o addirittura più produttivi di quelli dei suoi vicini coltivati con metodi moderni. Lascia dietro di sé la prova che un’alternativa è possibile ma che essa si realizzerà solo a costo di grandi sforzi e di un’abnegazione assoluta.
Scorrendo le pagine di questo libro, si può immaginare l’autore che scompare dietro le spighe di grano che modestamente coltiva nei suoi campi, che gli forniscono tutto ciò di cui ha realmente bisogno. Questo libro è la storia di un uomo, o meglio di un saggio, che si è dedicato alla ricerca di un’agricoltura che nutre corpo e mente. L’uomo non ha bisogno di altro per vivere perché, in fondo, «vivere non è altro che la conseguenza del nascere».
Laurène Jacquerez
Traduzione a cura di Manuel Zanarini
(Laurène Jacquerez, Masanohu Fukuoka, « La Révolution d’un seul brin de paille », éditions Guy Tredaniel (2005) – 14,90€, https://institut-iliade.com)