Il teatro contemporaneo non esiste. Esiste il teatro, arte oggi di minoranza per minoranze. E questa è una realtà che riguarda tutti i livelli dello spettacolo dal vivo, dai teatroni ai teatrini. Non riesco, dopo 30 anni di frequentazione, a dare (e a darmi) una definizione convincente di teatro contemporaneo. Spesso uso anche io la dicitura “teatro contemporaneo” per “spiegare” quello che faccio. Eppure mi rendo conto che è un contenitore fittizio, non contiene niente. Lo usiamo “per capirci” tra di noi addetti ai lavori, ma alla maggioranza degli spettatori non importa un fico secco; quando vengono a teatro gli spettatori vogliono vedere il teatro. Punto. Ed è assodato oramai, tra le minoranze che frequentano i teatri, che per “teatro” si intende tutto l’universo-mondo che il Novecento ci ha donato; testi, scritture sceniche, attori-narratori, arti performative, teatri di figura e via dicendo. Le poetiche sono infinite, parlare di tendenza mi sembra assurdo. Stesso discorso per gli stili. Io la metterei così: esiste il teatro, arte di minoranza, e lo si pratica nei piccoli teatri e nei grandi teatri. In alcuni teatri (grandi e piccoli) c’è solo sciatteria, banalizzazione, degrado, simulazione dell’arte e, soprattutto, indifferenza per la vita. In altri teatri (grandi e piccoli) si prova a vivere e praticare la grandezza e la potenza del teatro, il suo spazio paradossale, infinitesimo ed enorme. Questa che propongo è l’unica chiave di lettura sul presente che mi convince, dove usciamo dagli articoli ministeriali (che non inquadrano un bel niente) per provare a cogliere la dinamica profonda del sistema teatrale italiano (questo sì “contemporaneo” …).
Stefano Angelucci Marino