Metastoria e Quarta Teoria Politica
Il corso degli eventi storici che ha sancito la fine della Modernità e l’inizio della post-modernità, spesso viene interpretato quale fosse una linea retta che contempla un approccio riguardante il futuro mai improntato sull’avvenire, bensì su ciò che possiamo scorgere e che è di lì a poco a venire. La lettura del passato, viene mortificata dall’adorazione di uno e più periodi storici, quando nulla nella Storia si è mai riproposto in maniera identica. Simile ma non identica. Comprendere il presente è sempre più difficile, poiché viene intrappolato dalla fenomenologia del presentismo e da «La Cultura del narcisismo», divenendo pressappoco un oggetto inanimato del solipsismo del desiderio — qui, ora e subito — che va ad aggiungersi al condizionamento della futurologia contemporanea. A distanza di anni dal 9 novembre 1989, la data dell’abbattimento del Muro di Berlino, la convinzione di impiantare le tre ideologie moderne, il liberalismo, il comunismo ed il fascismo, all’interno di una attualità, che non dimentichiamolo è dominata esclusivamente dal neo-liberalismo, spinse Dugin ad elaborare La Quarta Teoria Politica, intensa come il superamento delle ideologie dell’epoca moderna. La sua volle essere — lo è tuttora — una critica ed uno sprono a trovare un’alternativa al liberalismo e alla globalizzazione, privi di una visione ideologica. Nonostante il perdurare del nichilismo capitalistico dove però, è ancora possibile scorgere un’alternativa a questa visione del mondo.
La Quarta Teoria Politica e il Dasein di Heidegger
Capire la visione del proprio mondo richiede un esercizio che pochi hanno voglia di intraprendere, per il motivo che implica Fare i conti con se stessi. E questo, ancor prima di osservare scrupolosamente il modello geopolitico unipolare guidato dagli Stati Uniti e dai loro alleati occidentali; l’esempio di quanto l’Occidente sia in grado di auto-produrre un americanismo automatico, nonostante il declino del soft power sia evidente ovunque, i meccanismi che regolano l’economia di mercato della globalizzazione, la «società depressiva» e lo sfascio dell’ideologia neo-liberale. Insomma, prima di porre una critica serrata al «Pensiero Unico», dobbiamo necessariamente rafforzare il processo di completamento con il proprio Sè attraverso ciò che non è l’Io, individuabile nell’Altro; ovvero, in quelle realtà che non siano parte completa e non vogliono sottostare al nichilismo post-moderno. Presenti, anche in Nord America, in America Latina, in Medio Oriente, in Europa, in Asia, ecc. A tal proposito, il professor Dugin pone l’attenzione su l’uomo in quanto Dasein — l’Esserci, o Essere Qui — di Heidegger, libero dall’individuo empirico e conscio della categoria ontologica. Suggerendoci, nella Quarta Teoria Politica, una netta distinzione dalle tre ideologie della Modernità in quanto «è pluralista» e «crede nella molteplicità e nella diversità dei Dasein di ogni cultura e civiltà», per la motivazione che ogni società possiede il proprio Dasein, malgrado la concezione del mondo neoliberale continui ad anteporre l’individuo al posto dell’uomo.
La teoria di un inizio aperta ad ogni contributo
Se il Dasein riveste il ruolo di “soggetto” della Quarta Teoria Politica, ognuno può cimentarsi nelle riflessioni che ritiene opportune. Per quello che ci riguarda, siamo propensi a pensare che il Dispotismo senza frontiere e il nuovo regime di libero scambio che cita in giudizio gli stati in tribunale, quando nei rari casi la Politica fa il proprio mestiere e fissa un argine alle de-regolamentazioni che gli impediscono di sfruttare al massimo gli investimenti a costo zero dai facili profitti, tutto sommato non sia poi così in crisi. Per riappropriarci della natura implicita del Politico che Dugin riprende dal filosofo Giorgio Agamben, il Politico o è verticale oppure non esiste, bisogna porre un occhio di riguardo al neo-liberalismo che pur di non scomparire, «orienta i suoi sforzi sulla forza di espandersi e contrarsi a seconda dell’utilizzo degli spazi perfino temporali, volgendo lo sguardo avanti e rifacendosi al passato». Ma contemporaneamente anche al Capitalismo, il quale pur di aumentare la sostenibilità del profitto, favorisce la dialettica dell’illimitatezza per giustificare ogni nefandezza possibile ed inimmaginabile. In breve, dobbiamo considerare l’ideologia liberale e del Progresso, la pastoia dottrinale di cui si serve il Capitalismo post-moderno e non il contrario.
La filosofia politica della Quarta Teoria Politica
Addentrandoci nel pensiero della Quarta Teoria Politica, è possibile intravedere l’essenza della metapolitica che racchiude in sé le cose al di fuori della politica, al suo interno, nell’ambito dell’antropologia politica, diventando fonte di ispirazione per la Politica. Evidenziando, l’esistenza di un asse orizzontale della governance «che ha cancellato il nostro patrimonio di riferimenti politici per sostituirli con i termini tendenziosi del management» cui si contrappone un asse verticale dal basso verso l’alto, del popolo contro le élite. La Quarta Teoria Politica, intravede le storture dei «politici diventati biopolitici» e della Politica che da qualsiasi parte la si guardi, da destra come da sinistra, riflette le principali declinazioni del liberalismo politico. Ma soprattutto, vuole anche indicare che esiste un altro modo di intendere la Politica che esula dall’utilitarismo, dalla metodologia del “coaching” politico, della gestione-azienda e dell’economizzazione amministrativa della Politica. È un dato di fatto che il ritornello dell’ideologia dei diritti umani che impone un egualitarismo totalizzante senza riconoscere le differenze, convince sempre meno. Il mondo, contrariamente a quello che ha scritto Dugin, non si appresta ad assistere all’imminente Apocalisse e tanto meno, la post-modernità non somiglia al “regno dell’Anticristo”. Piuttosto…
Capire il momento storico che non è un continuum
Tralasciando l’ambito teologico, la comparsa del deismo, dell’ateismo e del materialismo delle «società monoteiste che erano influenzate dal razionalismo» citati da Dugin, dobbiamo fare un ulteriore ragionamento. Per comprendere a pieno la società della post-modernità, dobbiamo pensare ad una forma di liquidità quasi onnicomprensiva. Al giorno d’oggi, sono davvero pochi i popoli che riescono a sottrarsi da una governance in cui è mentalizzata nel profondo, l’idea che la società sia un qualcosa di diverso dal mercato (dal latino. sociětas -atis, der. di socius «socio»), senza rispettarne alla lettera il significato etimologico. Il dibattito verte sul tipo di «Comunicazione Emozionale» che intercorre tra la governance e la società: l’uomo non è più il bersaglio della programmazione della coscienza di un mercato, oppure, un consumatore famelico come negli anni ‘90. Da inizio secolo, è entrato a pieno titolo nel processo di produttività accelerata della logica della merce come fruitore non più subordinato. Questa mentalità è diffusa in ogni affranto delle società: trattasi ormai di un automatismo rispondente alle consuetudini umane. Il primo nemico è la società in quanto tale, e, la sua forma mentis non è circoscritta, al solo Occidente. Ed è per questa ragione, come ha scritto Dugin, dobbiamo fare il massimo sforzo per costruire «un’ontologia fondamentale e lo studio dell’Essere», lasciatici in eredità da Heidegger. Nell’insieme, trattasi di una congiuntura che non è irreversibile ma temporale. Sta solo a noi capire il «momento», facendo il possibile per sancire la fine.
Il concetto degli spazi e della geografia
Dal mondo unipolare a guida americana e occidentale, in realtà qualcosa è cambiato. Innanzitutto, abbiamo davanti ai nostri occhi un assetto internazionale sempre più multipolare, rappresentato in prevalenza dalle alleanze di Europa, Russia, Stati Uniti, Cina-India, Centro-Sud America, Giappone e Corea. La guida unica, quella del blocco dei Paesi aderenti al Patto Atlantico e l’intera civiltà occidentale che sotto la guida degli Stati Uniti diedero il via al mercato economico globale, oggi sono costretti a rivedere i loro piani. Emerge il configurarsi del Nomos della terra di smithiana memoria. Le potenze di mare, difensori della globalizzazione e della “Modernità liquidità”, si confrontano con un ritrovato senso di «Spazio» e le derivazioni del Nomos della terra, riaffiorano: la spinta primigenia del legame smarrito fra Ordnung e Ortung, dello stabilire un ordine, di ubicarlo e localizzarlo hanno rivitalizzato l’arcaica pulsione dell’occupazione del suolo. La Geografia dei luoghi, andata continuamente scemando per via dell’impossibilità di definire delle coordinate spaziali nell’epoca della globalizzazione, torna ad essere di primaria importanza. E con lei, la nozione di ethnos: intesa come «una comunità caratterizzata da omogeneità di lingua, cultura, tradizioni e memorie storiche, stanziata tradizionalmente su un determinato territorio», composta da tutte le distinzioni del caso ma nell’insieme, con molte più cose in comune, all’Origine, di qualsiasi altre.
La Grande Europa è la sfida alla globalizzazione
In ultimo, per lasciare al lettore un ampio margine di considerazioni sulla Quarta Teoria Politica e sui tanti argomenti della Teoria, quali sono: il simbolismo — interessante—, l’escatologia dell’esistenza —apprezzabile—, l’ermeneutica —notevole—, senza tergiversare sui richiami alchemici che troviamo azzardati, ultimamente, pare siano di gran moda, preferiamo occuparci d’altro. Lo stesso discorso vale per le argomentazioni sullo «spirito dell’angelomorfismo» della Quarta Teoria Politica ed «il sesso del soggetto di questa come il sesso degli angeli», descritto da Dugin. Francamente, non capiamo cosa c’entri con l’antropologia politica e la Teoria in questione. Cosa ben diversa dai pensieri espressi su una “Grande Europa” che de-occidentalizzata e sempre meno soggetta ad essere la periferia della centralizzazione americana potrebbe riscattare una sua autonomia, politica e culturale. In che modo? Volgendo lo sguardo «ai suoi vicini, a Occidente, a Oriente e a Sud», purché recuperi una forma di polo e/o ente con una visione d’Impero: tornando a Carl Smith, alla nozione di Grossraum degli «spazi» e delle regioni. Per concludere, pensando sia pertinente per cimentarsi in ulteriori riflessioni, può essere di riferimento quello che abbiamo scritto in “Il mondo multipolare e l’Italia dei giocolieri”: «I piccoli stati che si impegnano in un protezionismo sono ammirevoli ma, pressoché inefficaci nel neutralizzare le spire della globalizzazione, sono messi dinanzi ad una scelta: come ha scritto giustamente Alain de Benoist, essere una parte attiva di «spazi ampi “omogenei”, costituendo altrettanti poli politici, economici e civili», cioè della stessa natura e affini, oppure scegliere di continuare ad adattarsi agli eventi». Possiamo dire che è un nodo focale, parecchio importante, della Quarta Teoria Politica.
Francesco Marotta