Anziano professore di letteratura comparata, Julien Hervier è traduttore di Nietzsche. Ha pubblicato nel 1986 Incontro con Ernst Jünger ed è stato amico dello scrittore tedesco, di cui è diventato anche traduttore e biografo in un libro pubblicato nel 2014 dal titolo Ernst Jünger, Dans les tempêtes du siècle. Ha anche pubblicato i suoi Diari di guerra per la collezione della Pléiade e ha pubblicato, per la Pochothèque, una raccolta di nove suoi Saggi, dedicati in particolare: a L’Operaio, a Il Trattato del Ribelle e a Il Passaggio al Bosco. Per Philitt, si concentra sul rapporto (di Jünger, NdT) intrattenuto per tutta la vita sia con la foresta che con la natura in tutte le sue forme.
PHILITT: Nella sua biografia su Ernst Jünger, Lei scrive che «visse fin dall’infanzia in uno stato di profonda simbiosi con la natura». Quale ruolo attribuisce a questa vicinanza nell’aver plasmato il pensiero del giovane Jünger?
Julien Hervier: In effetti, Ernst Jünger è sempre stato a contatto intimo con la natura. Come durante la sua infanzia, quando viveva ad Hannover, anche all’interno di questa grande città aveva la possibilità di attraversare ogni mattina le aree boscose di un parco comunale costeggiando un lago per andare a scuola. Ma fu soprattutto quando la sua famiglia si trasferì a Rehburg, nel cuore della campagna della Bassa Sassonia, che poté immergersi veramente nella natura. La grande villa dei suoi genitori era situata nel cuore della natura e lui doveva camminare mezz’ora tutti i giorni in campagna per prendere il treno in una piccola stazione che lo portava a scuola: in questo luogo privilegiato, vicino a un immenso lago la cui imponente mole merita il nome di Steinhuder Meer, il mare di Steinhude, aveva come parco giochi, durante le vacanze, immense distese selvagge di brughiere e boschi. Questi ricordi ci sono stati tramandati dal fratello Friedrich Georg nel suo libro Rameaux Verts dove rievoca questi momenti di grande libertà concessi loro dalle scelte educative dei loro genitori: «Per liberarci da ogni ostacolo ci toglievamo i vestiti che nascondevamo in un boschetto di ontani e vagavamo nudi, intere mezze giornate nei prati paludosi e nelle foreste che delimitavano l’acqua con larghe fasce verdi». Più di una volta, i giochi dei due fratelli sono quasi costati loro la vita: così, un giorno mentre esploravano vecchie cave dismesse, scendendo per una scala tarlata sul fondo di un vecchio pozzo di miniera, improvvisamente un blocco di roccia si staccò dal muro e quasi li schiacciò nella sua caduta.
La foresta diventa per lui il luogo per eccellenza dell’indipendenza. Gli piace ritrovare questa familiarità con la natura nei libri dello scrittore regionalista Hermann Löns, al quale rende omaggio nel 1925 nella prima versione di Boschetto 125. Ma poiché i nazisti strumentalizzarono l’opera di Löns nell’ottica della loro ideologia di «sangue e suolo» (Blut und Boden), rimuoverà questi passaggi dal suo racconto dopo il 1933. Questo amore per la natura trovò nutrimento anche nel suo impegno per il movimento Wandervögel, gli «Uccelli migratori», allora particolarmente di moda in Germania. Questo movimento, paragonabile allo scoutismo su certi punti, aveva la vocazione, riportando i giovani a contatto con la natura, di liberarli dall’atmosfera artificiale della grande città e dalle catene razionaliste della società borghese.
Il suo amore per le foreste è ovviamente legato alla passione divorante che l’entomologia era per lui. Questo sguardo meravigliato sulla natura in tutte le sue forme è essenziale per comprendere la sua opera?
Sì! Tutto nel mondo naturale lo interessava, che fosse la botanica o la zoologia, nonché la geologia, perché la storia della Terra lo affascinava tanto quanto la storia della vita. Tuttavia, in un momento in cui non si era più in grado di padroneggiare tutte le conoscenze come fece un Pico de la Mirandola all’epoca del Rinascimento, egli si specializzò in entomologia. Questo interesse per gli insetti, lo dimostrò fin da piccolo, incoraggiato in questa passione dai genitori che gli avevano regalato un piccolo armamentario da entomologo, una specie di «kit» per catturare e conservare gli insetti. Evocherà questo dono nell’opera intitolata Cacce sottili, il nome che diede alla caccia di queste creature evanescenti che sono gli insetti; sebbene Jünger lo classifichi come saggio, questo libro contiene una parte molto importante di ricordi, così come il testo intitolato Approcci. Droghe ed ebrezza, che ha anche una forte dimensione autobiografica: questi due testi meritano di essere considerati separatamente, perché costituiscono una categoria diversa dagli altri suoi saggi.
Parallelamente al senso dell’azione, il suo interesse per gli insetti riflette il suo carattere contemplativo di osservatore concentrato sulla visione di prossimità; lo sviluppò giovanissimo e lo ampliò nelle trincee della Grande Guerra, quando fu costretto a nascondersi per giorni in buche a livello del suolo, tenendo tutti i sensi all’erta per il minimo movimento tra i fili d’erba. Fu sedotto anche dalla bellezza di alcune selci trovate nei terreni calcarei della Francia settentrionale; esse testimoniano le convulsioni geologiche e gli innumerevoli strati temporali che si sono succeduti nella storia del globo. Affascinato dalla teoria delle catastrofi di Cuvier, Jünger considera anche la storia dell’uomo alla luce della storia della Terra. Questo interesse per il suo ambiente circostante, per quanto limitato, si sviluppò quindi ulteriormente nelle trincee; paradossalmente, gli ha permesso di ampliare la sua percezione del mondo, come scriveva: «Se ci si interessiamo agli animali molto piccoli, il mondo diventa subito immenso». L’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande si richiamano l’un l’altro, proprio come l’uomo è in stretta risonanza con l’universo; il microcosmo è un’immagine del macrocosmo come pensavano gli Antichi. È così che un giardino progettato con amore offre un’immagine ridotta del cosmo. Jünger si spinge fino a dire che ogni giardino è in definitiva solo un riflesso del Giardino dell’Eden. Un episodio della sua infanzia illustra mirabilmente questa inclinazione: egli racconta come aveva costruito in casa quello che chiamava il suo «panorama». Aveva ricostruito in miniatura il parco comunale che attraversava la mattina per andare a scuola, utilizzando frammenti di specchio raffiguranti il lago, sassolini raccolti sulla sponda e animaletti ritagliati da cataloghi. Il collezionista rivela così una sorta di ambizione metafisica concentrando in casa la quintessenza di un mondo naturale che lo affascina. Allo stesso modo, è quest’anima da collezionista che ha spinto Jünger a collezionare circa 30.000 insetti diversi, accuratamente presentati ed elencati nella sua collezione personale, custoditi nell’ingresso di casa in vaste cassettiere che aveva fatto realizzare appositamente per loro. Questa enorme collezione era un altro modo, rispetto allo scrivere, per appropriarsi del mondo.
La foresta e la natura furono fonti di ispirazione per tutta la sua vita, come lo furono per i Romantici tedeschi. Possiamo stabilire, data l’importanza di questo sguardo sulla natura, una filiazione tra questo Romanticismo e l’opera di Ernst Jünger?
Sì, questo interesse per la natura in tutte le sue forme lo avvicina alla generazione Romantica tedesca, ma ci sono altri punti di contatto. C’è un legame evidente tra la sua opera e quella di un poeta come Novalis, per citare solo lui, in particolare nell’attenzione riservata ai sogni, che permettono di ristabilire concretamente un legame metafisico con la parte oscura della nostra presenza nel mondo. Per Jünger, i sogni sono un modo per connetterci attraverso l’inconscio con il cosmo. Non apprezza le interpretazioni freudiane che considera riduzioniste: le trova troppo sistematiche e limitate, nella loro tendenza a ridurre tutto alla sessualità.
I racconti di sogni sono ricorrenti in tutto il suo lavoro. A questo proposito scriverà che «sentiamo nei sogni ciò che ci dice la materia». Questa attrazione per il mondo dei sogni, per la parte dell’inconscio insito in ogni Essere, l’aspetto metafisico del suo rapporto con il mondo e con le bellezze della natura, sono elementi che lo avvicinano al Romanticismo tedesco, molto più che a quello francese il cui lirismo ha un lato esteriore e retorico che difficilmente apprezzava. Dalla nostra parte del Reno, si sentiva molto più vicino a Baudelaire, Rimbaud e ai Simbolisti francesi in generale.
Nella sua opera non mancano le rappresentazioni allegoriche, come la figura del Grand Forestier in Sulle scogliere di marmo, che ricordano alcune figure di leggende pagane. L’importanza della foresta nelle sue opere non incarna forse il forte legame tra Ernst Jünger e i grandi miti germanici?
Sì, queste sono leggende che conosceva bene, ovviamente. Sicuramente evoca Wotan, il Walhalla, il frassino Yggdrasil e il serpente Midgard; ma non si può dire che queste leggende siano per lui essenziali come potrebbero esserlo nella visione «ariana» del mondo dei capi del Terzo Reich, che si affidavano a esse per costruire la loro ideologia razzista. Jünger non era certo un wagneriano! I miti che lo hanno affascinato, quelli che sono sistematicamente al centro dei suoi interessi, provengono principalmente dall’antica Grecia. Considerava queste leggende fondamentali per la cultura occidentale e necessarie per la sua comprensione. Con il mitologo Mircea Eliade creò inoltre la rivista Antaios, dedicata all’approfondimento dello studio di questi miti e del rapporto dell’uomo con il Sacro. Questo interesse per la mitologia greca si rivela nel nome stesso della rivista, che non è mutuato dalla mitologia nordica, ma da quella mediterranea, in riferimento al personaggio di Anteo, nato dall’unione di Poseidone e Gaia, la Terra. C’è in Jünger una riflessione approfondita e molto moderna sul carattere patriarcale o matriarcale delle società, sulla loro complessità e sulla loro evoluzione nel corso della storia, che attinge direttamente dallo sfondo mitico della tradizione greco-romana.
La foresta assume anche una forma più concettuale nel suo lavoro con i Waldgänger, ne Il Trattato del Ribelle e ne Il Passaggio al Bosco. Cosa simboleggia la foresta nello sviluppo di questa figura del ribelle che sviluppa all’interno di quest’opera?
Il termine Waldgänger, per il quale non esiste una traduzione adeguata in francese, deriva dall’Islanda medievale e designa l’emarginato che trovò rifugio nel cuore delle foreste per sfidare la società. Le foreste, ovviamente, sono sempre state luoghi di rifugio, soprattutto in tempo di guerra, dove la loro difficoltà di accesso permette di nascondersi e sfuggire agli attacchi del nemico. Ancora oggi, le guerre dei partigiani mostrano queste agevolazioni offerte dalle foreste rispetto alle limitate risorse dell’aperta campagna. Jünger evoca occasionalmente anche l’annientamento delle legioni romane da parte di Arminius, nella famosa battaglia della Foresta di Teutoburgo. Ma al giorno d’oggi, quando la guerra assume sempre più la forma di guerra in termini civili, possiamo ovviamente interpretare metaforicamente questo termine foresta: nel cuore stesso delle città più grandi ci sono foreste di natura simbolica dove l’anonimato permette di trovare asilo. Attualmente, le grandi megalopoli stanno alla fine diventando i luoghi più favorevoli per perdersi tra la massa. In uno stato di secessione con il nichilismo contemporaneo, nel cuore di queste foreste interiori, il ribelle conserva la sua libertà e si protegge all’interno di un santuario che lui stesso si è creato: «La foresta è presente ovunque. Ci sono foreste nel deserto come nelle città, dove il ribelle vive nascosto sotto la maschera di qualche professione. […] Ma ci sono soprattutto foreste nelle retrovie del nemico».+
Come Maurice Genevoix in Francia, contro il quale combatté a Les Eparges e che aveva la stessa sensibilità per la natura, Ernst Jünger fu un precursore dell’ecologia. Come si è caratterizzata questa parte avanguardistica della sua personalità?
Non credo che usasse molto il termine ecologia, nonostante l’importanza che attribuiva alla protezione della natura, nonostante l’indignazione provocata in lui dall’annientamento delle specie animali e dalla distruzione dei paesaggi ad opera dell’attività umana, la cui tecnica decuplica la capacità distruttiva: nell’antologia dei suoi principali Saggi che ho appena pubblicato alla Pochothèque (quasi 1200 pagine!), la parola «ecologia» non compare nemmeno una volta. Il suo rapporto con questo termine è anche molto diverso da quello che possiamo avere oggi noi, compresi i movimenti ufficialmente etichettati come «ecologisti», che si occupano almeno in egual misura della difesa dei «Diritti dell’Uomo» e della protezione del mondo naturale.
Va notato che questo «uomo che osserva» è solo raramente un paesaggista. Così, nel 1936, la storia della sua sosta a Rio può sorprendere. Nessuna descrizione meravigliosa della baia, ma alcune frasi asciutte sulla potenza del granito freddamente confrontato con il calcare. Infatti, ciò che lo colpisce e lo affascina profondamente è la forza tellurica della natura associata all’esuberanza della fauna e della flora dalle forme a volte spaventose, come è il caso, ad esempio, di un’immensa bromelia: «Di fronte a questa immagine, sullo sfondo della luce cruda, fui preso dal terrore come davanti alla manifestazione suprema, più sensuale della violenza nel mondo vegetale».
Ernst Jünger possedeva una conoscenza enciclopedica di questa natura che lo distingue dai nostri ecologisti da salotto, molti dei quali non sono in grado di nominare la maggior parte delle specie di alberi nelle foreste che li circondano. Del resto si prendeva già gioco di alcuni ecologisti suoi contemporanei, incapaci di distinguere un faggio da un frassino, nella loro sconcertante ignoranza del mondo naturale. Il partito dei Verdi tedesco, troppo impegnato a risentirsi per il suo passato nazionalista e guerriero, ha mostrato poca considerazione nei suoi confronti, nonostante il suo informato e profondo rispetto per la natura. I Grünen non hanno mai pensato di vederlo come un possibile compagno nella loro lotta per l’ecologia. Ma in armonia con la sua natura di Ribelle, ciò non lo avrebbe infastidito troppo.
Traduzione a cura di Manuel Zanarini
(Intervista a Julien Hervier a cura di Benjamin Fayet, Julien Hervier : « La forêt devient pour Ernst Jünger le lieu de l’indépendance », https://philitt.fr, 14 marzo 2022)