L’Europa, l’essere europei, fondamenti e prospettive
I principi fondamentali dell’Unione Europea, quelli che dovrebbero sancire un Unione di tipo federale, lo sono sulla carta e non nella loro attuazione. Il problema principale della UE è indubbiamente quello di essere fondata su basi unicamente economiche, finanziarie e che poggiano sul sistema della concorrenzialità, sulla concezione secondo cui il diritto è composto di norme, ovvero, il normativismo. A mancare è la figura del politico di schmittiana memoria (Carl Schmitt). Va da sé che il problema principale è soprattutto politico, di un Unione che non ha una amalgama coesa, un intento comune e via discorrendo. Il tutto è ridotto alle rivendicazioni dei singoli, in base ai loro obbiettivi, dichiarati o meno. L’Europa è tutto, tranne che rappresentare questo tipo di funzionalismo incapacitante, della dismisura, per cui della hybris e dell’Uno. In sintesi, la logica del capitalismo che dipende dall’illimitatezza che è poi il suo fondamento e la ratio.
L’Europa è innanzitutto cultura, la nostra, la forza delle idee, il nostro Continente con dei confini ben delimitati. Di certo non è quella dedita al cosmopolitismo e all’annullamento delle frontiere, avvezza ad ogni forma di nomadismo, la peculiarità maggiore della governance che siede a Bruxelles. Il pensiero va ad un’Europa politica, federale, svincolata dall’economia, dalla spoliticizzazione imperante e dalle logiche di mercato. Pensare l’Europa, significa prima di tutto aver ben chiaro ciò che non è burocratizzato e centralizzato, contrariamente ad un modello che è estremamente giacobino, il quale contempla un autoritarismo punitivo misto al centralismo e alla poca trasparenza.
Non può non essere di primaria importanza, guardare favorevolmente a quell’Europa d’Impero e di potenza dai 30.000 anni di Storia che non sostituisce la politica con l’economia, che non decostruisce le nazioni senza costruire prima l’Europa. Un governo degli uomini e non un governo dell’amministrazione delle cose in perfetto “stile” aziendale o simile a quello dei CDA. Un’Europa e i suoi popoli che non contemplano una «civiltà dell’universale» al posto di una «civiltà universale» qual è sempre stata. Le due cose non sono sinonimi. Quella a cui tutti teniamo molto è dunque un’Europa che non riflette la mentalità dominante, incentrata sull’ideologia dei diritti dell’uomo e sull’umanesimo privo di prospettiva, quale fosse un giudice della Storia che si eleva al rango di salvatore o redentore che tra le altre cose, tra le tante deteriori, mette sotto processo l’appartenenza e l’originalità dei popoli europei.
L’Europa, in maniera specifica l’essere europei, significa innanzitutto essere i garanti di una storia, di una cultura e di un destino collettivo, non l’esatto opposto o qualsiasi cosa di diverso. Nonostante le guerre, le delusioni suscitate da questa Unione del tutto aleatoria, continuiamo a credere in un’Europa politicamente coesa, quanto mai necessaria. Il motivo è semplice: per lungo tempo i popoli europei sono stati oggetto di guerre e lacerazioni dovute a dei conflitti e a delle rivalità di ogni genere. Secondo noi è giunta lora, il momento storico lo richiede, di prendere coscienza di una comune appartenenza ad una stessa area geografica, di cultura e di civiltà, assicurandoci un destino comune senza più contrapposizioni. Le sfide che ci attendono sono innumerevoli e devono essere prese in seria considerazione, partendo dalle fondamenta.
Il fulcro della metapolitica e l’equivoco principale
L’azione politica non rappresenta più che un elemento tra gli altri di uno scontro molto più vasto. La «neutralità» non esiste più, ammesso che sia mai realmente esistita. Al lato del potere politico si è costituito un altro potere a cui possiamo dare una definizione: il potere «metapolitico» o culturale in senso ampio. Chiarito questo, bisogna fare mente locale su cosa sia l’apparato moderno, i partiti e lo Stato, i quali inglobano e organizzano nella loro interezza il consenso. Pertanto, ciò ci induce a pensare che bisogna per forza di cose ricorrere all’apparato politico e all’ideologia implicita di tutti i valori riconosciuti dalla maggioranza.
Trattasi di un apparato civile che ingloba l’appartenenza, la cultura data, le idee, i costumi, le tradizioni etc., quello che dovrebbe essere riconosciuto da tutti come il buon senso. Lo Stato non esercita la sua autorità solo attraverso la coercizione con determinate leggi, obblighi e doveri. Lo fa anche beneficiando di un potere che è culturale, per mezzo di un’egemonia che è ideologica, attraverso l’adesione spontanea della maggioranza a quel tipo di concezione ma anche di visione del mondo e delle cose. Bene, cioè male, perché oggi ci troviamo di fronte a ciò che potremmo definire una omogeneizzazione specifica. Chiarito questo, dobbiamo dire che la metapolitica non è una diversa maniera di fare politica.
La metapolitica non ha nulla da spartire con una “strategia” che mira ad imporre un’egemonia intellettuale, né tanto meno pretende squalificare altri possibili approcci o atteggiamenti. Si basa semplicemente sulla constatazione che le idee svolgono un ruolo fondamentale nelle coscienze collettive e, più in generale, nell’intera storia degli uomini. Eraclito, Aristotele, Agostino, Tommaso d’Aquino, Cartesio, Immanuel Kant, Adam Smith o Karl Marx hanno, ai loro tempi, provocato grazie alle loro opere delle rivoluzioni decisive, il cui effetto si fa sentire ancora oggi. La storia è certamente il risultato della volontà e dell’azione degli uomini, ma questa volontà e questa azione si esercitano sempre nel contesto di un certo numero di convinzioni, di credenze, di rappresentazioni che conferiscono loro un senso e le orientano. Il compito che tutti possono darsi, nessuno escluso, è quello di contribuire al rinnovamento di queste rappresentazioni socio-storiche.
Non può esserci una trasformazione o un cambiamento dello status quo e del potere politico che non passi attraverso la presa del potere culturale, attraverso quella che è una trasformazione o metamorfosi delle idee generali e dello «spirito del tempo». La posta in gioco di questa battaglia o guerra è come dicevamo la cultura, considerata essere il luogo del controllo e della specificazione dei valori e delle idee. La crescente impotenza dei partiti, dei sindacati, dei governi e dell’insieme delle forme classiche di conquista e di esercizio del potere, rappresenta il degrado di tutte quelle linee di frattura che avevano caratterizzato la «Modernità», a cominciare dal tradizionale distinguo tra sinistra e destra. In più, cosa non da poco, siamo dinnanzi all’esplosione delle conoscenze che è aumentata vertiginosamente, moltiplicandosi, senza però che vengano comprese e pienamente percepite.
Viviamo di fatto, questo un po’ meno dopo lo scoppio della pandemia, in un «Sistema» a reti, fortemente interconnesso e globalizzato. Il fiore all’occhiello di società liberali e dedite alle lusinghe del progresso. La metapolitica impone, per cambiare queste convinzioni, rappresentazioni e credenze, l’addestrarsi in tutti gli ambiti del sapere, nessuno escluso, al fine di dare una visione del mondo che è coerente. Non ci sono altri modi di intendere la metapolitica se non questo.