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Metapolitica

Nelle fucine di Angband

Se la tua visione del mondo si contrappone alla nostra è giusto o quantomeno inevitabile che ti ammazzino la figlia.

E’, questo, il distillato d’umanità che fa da sottotesto a molti articoli e alla quasi totalità di editoriali scritti dall’alta aristocrazia intellettuale nostrana nei giorni successivi alla criminale esecuzione di Darya Dugina.

Più realisti del re: se l’aparàt ucraino ha respinto nell’immediato le accuse mosse da Mosca, sostenendo di non essere uno stato terrorista (riconoscendo così implicitamente l’odiosità e la criminosità dell’assassinio a freddo di una ragazza innocente, di un’intellettuale non combattente), qui da noi, nelle scuderie dell’Occidente, si è fatto a gara tra chi era più giustificazionista: “Darya Dugina aveva detto questo, Darya Dugina aveva scritto quello” (accuse che non riporto, perchè emblematicamente prive dell’indicazione delle fonti e antitetiche rispetto all’ubi consistam dei discorsi e degli scritti della Dugina che ho trovato in rete); fino alla più smaccata e colpevolista: “Darya Dugina era la figlia di Aleksandr Dugin”.

La disumanizzazione del nemico è un vecchio espediente della propaganda bellica e parabellica umanitaria; oggi tocca gli abissi dell’indecenza nel voler privare del requisito dell’umanità una vittima innocente. O colpevole di dire e scrivere cose che non piacciono. 

Una disumanizzazione che, non paradossalmente, è connotata da tutte le infingardaggini e corbellerie che si imputano al nemico interno: relativizzazione del crimine, giustificazionismo, complottismo (resa dei conti interna), uso di virgolettati senza fonte.

Chi -per spirito partigiano- non prova pietà per la morte di un’innocente, di qualsiasi vittima innocente di qualsiasi guerra, anche di quelle ipocritamente definite “umanitarie”, inclinando in un compiaciuto giustificazionismo, farebbe bene -prima o poi- a scrutare nell’abisso in cui è precipitata la propria coscienza. E comunque ad astenersi dal volerci dare lezioni d’umanità.

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