Postmoderno e diritto
Aldous, 9 ottobre 2022
Lungi dall’essere in declino, il postmoderno sembra celebrare sempre più i propri fasti in molteplici forme. Prima di tutto con il trionfo dello spettacolo che al modo di una metastasi ha inglobato in sé la politica, il mondo della formazione – scuole e università -, l’informazione. Poi con la iperpersonalizzazione delle ideologie, identificate con individui singoli in carne e ossa e quindi sostanzialmente dimidiate nella loro dimensione profonda, simbolica, oggettiva. E poi, e soprattutto, con la cancellazione del reale sostituito da pure e semplici narrazioni strumentali alla prosecuzione del dominio. È anche per questo che nelle dichiarazioni e nelle azioni dei capi politici «il senso della realtà latita a tal punto da far dubitare che ne sia rimasta anche solo una minima traccia» (Marco Tarchi, Diorama Letterario, n. 368, 2022, p. 1).
Uno dei risultati di tali dinamiche è il capovolgimento delle parole, l’insignificanza del significato. Un caso assai chiaro è la relazione tra l’Europa e la struttura politica che si chiama Unione Europea. La seconda è la nemica della prima. Dove l’identità dell’Europa è sempre stata e continua a essere costituita dalla molteplicità, dall’autonomia e dalla differenza, l’Unione Europea è un dispositivo che opera per l’uniformità, la sottomissione e l’identità. In questo il declino europeo è sineddoche di una tendenza generale: «Un capitalismo divenuto totalitario pretende che niente sfugga ai suoi denti, non un ettaro di terra, non un atomo d’aria, non una goccia d’acqua dei mari e dei laghi, neppure un genoma umano, una semente o un batterio. La globalizzazione è l’espressione di questo appetito senza limiti che impone la uniformazione mondiale delle leggi, delle regole, delle norme e dei codici» (Hervé Juvin, ivi, p. 10).
L’effetto geopolitico di tale dinamica culturale è che «l’Unione manifesta una totale assenza di senso dell’interesse degli europei. Subisce l’ossessione americana e britannica di sempre: tenere la Russia fuori dall’Europa, ridurre il peso della Germania, senza capire che essa ormai si formula così: ridurre il peso dell’Unione europea, mettere le mani sulle immense risorse della Russia e tagliare il motore della crescita cinese prima di farla finita con la stessa Cina e con il suo progetto di unione euroasiatica» (Id., p. 9).
La personalizzazione postmoderna della politica e della vita ha inferto una ferita assai grave al diritto, allo ius publicum europaeum, alle sagge norme delle paci di Westfalia che nel 1648 posero fine alle guerre religiose e moralistiche che devastarono l’Europa moderna.
L’origine remota ma determinante di questa tendenza comincia ancora una volta con la Prima guerra mondiale, luogo dal quale sono scaturite le patologie politiche contemporanee. Mentre per tre secoli il diritto internazionale si era basato sul principio di non ingerenza negli affari interni di un’altra Nazione e di estraneità del diritto penale alla guerra, con le Paci del 1919 si transitò dal Diritto all’individuo, si immise nei rapporti internazionali il veleno della morale e della personalizzazione del nemico, diventato immediatamente non più umano e quindi meritevole di ogni violenza. Nel trattato di Versailles «venne inserito un articolo, il 227, che prevedeva la messa in stato d’accusa del Kaiser Guglielmo II» (Archimede Callaioli, ivi, p. 34), il quale venne accusato di essere l’unico responsabile di un massacro che ebbe almeno una dozzina di cause strutturali molto complesse e distribuite tra tutti gli attori del conflitto.
Fu la prima applicazione della legge del vincitore trasformata in principio giuridico. Da quel punto in avanti la demonizzazione del nemico/persona, un nemico – va da sé – che abbia perso la guerra, ha sostituito la comprensione della complessità e l’oggettività delle strutture politiche. È questo il ‘principio’ che guida la vicenda politica contemporanea: Saddam Hussein, Gheddafi, Milosevic, Putin, sono soltanto alcuni esempi di demonizzazione del nemico da parte del vincitore. I primi sono stati facilmente eliminati dalla potenza statunitense, nel caso della Russia la cosa è molto più difficile. Non a caso a essere stati esenti dai tribunali etici americani sono coloro che hanno vinto la guerra contro gli USA, come l’Afghanistan e il Vietnam.
Aver fatto della legge del più forte, vale a dire di quanto di più arcaico ci sia nell’umano, un principio giuridico del Bene costituisce una delle più pervasive vittorie del postmoderno.