Quando non si conosce per nulla ciò che si vuole criticare, il disastro è dietro l’angolo. Alain de Benoist è al Salone del Libro di Torino, basta questo per scatenare le ire dell’intellighenzia naïf, quella prezzolata, dal fumettista Zerocalcare alle mondine mancate della cul-tura del turpiloquio. Quei geni cosmopoliti e dediti alla religione del nomadismo che anelano di vivere negli attici di New York, mentre si struggono dal rancore nei quartieri bene delle grandi città italiane, provano ad attaccare impunemente. Le mondine, quelle vere, per tale accostamento potrebbero aversene a male. In fin dei conti, chine sui campi di riso, cantavano. Questo mentre le ciance e gli sproloqui li lasciavano agli scemi del villaggio, ritenuti essere tali non perché scemi ma stolti. Una piccola ma significativa differenza.
Per costoro, Alain de Benoist è d’ispirazione se non il maître à penser di una destra che va dai neo-nazi dalle rune rotanti ai QAnon filo russi di casa nostra, così dicono. Chapeau! Questo è il messaggio, lo stupido j’accuse, la nevrosi e la mistificazione delirante dei provetti inquisitori. Insomma, come aver letto due righe di Alain de Benoist, un libro è troppo, senza averci capito nulla…
La foglia di fico di questi baldanzosi figli del proletariato, si fa per dire, pare un ossimoro: non avendo mai avuto la benché minima idea che esuli dalle letargie di Toni Negri (opinione personale relativa ad alcune opere), dalle prolisse se non goffe tesi delle archistar filosofico-apocalittiche costrette in casa propria a continue abiure pur di mantenere il cadreghino, con in più la possibilità di pubblicare scritti con il gota dell’editoria dell’«ufficio sinistri» di fantozziana memoria. Continuando ad essere divisi a metà tra il mito rivoluzionario di papà (i figli di papà) e le comparsate in TV, grazie agli amici degli amici, chissà se poi di papà o di mammà. Dalla RAI a Warner Bros, dalle vignette inedite su La Repubblica al piagnucolare di Zerocalcare per un mancato ingresso negli USA, il passo è breve. Strillano, inveiscono contro Alain de Benoist, facendo l’ennesima figura barbina.
Passa persino inosservato che il mostro, il reprobo, al Salone del Libro di Torino ci sia andato mica solo per presentare il libro, apprezzabilissimo, “La scomparsa dell’identità”, ma pure per far conoscere il suo “Édouard Berth e il sindacalismo rivoluzionario”, pubblicato dalle Edizioni Sindacali. Un saggio che parecchi editori, soprattutto gli stenui difensori delle linee editoriali conformi e non, si sono rifiutati di pubblicare. Perché? Perché trattasi di uno scritto che parla del teorico del sindacalismo francese, discepolo di George Sorel, per cui secondo costoro trattasi di un lavoro non attuale e, peggio ancora, giudicato da alcuni persino scomodo! La celebre espressione di Francesco Guicciardini è viva e vegeta: quello di de Benoist è un saggio che non rientra nei soliti canoni del mordi e fuggi editoriale «o Franza o Spagna, purché se magna», in quanto conta solo pubblicare libri senza più diritti d’autore o che seguono fedelmente le tendenze in auge. Questo sì che è peggio delle critiche indefesse dei soliti araldi di Bali o della fu Capalbio!
Dagli attacchi dell’intellighenzia alla difesa d’ufficio di destra cosa cambia? Diciamo che Alain de Benoist, come abbiamo detto più volte, sa difendersi benissimo anche da solo. Ha ampiamente dimostrato di non aver bisogno di avvocati d’ufficio, categoria che di suo ha sempre detestato. Il riferimento non va certo alla categoria ma al sistema ed all’assurdità che dovrebbe spingere a difendersi dinanzi ad un’ipotetica quanto improbabile “corte dei miracoli”. È il presupposto a non piacergli, il metodo inquisitorio, compreso tutto il corollario della gogna mediatica e dell’allestimento di un tribunale permanente che tenta di censurare e zittire chi non la pensa in linea con la cultura e/o ideologia dominante. Badasi bene, attigua al potere di turno…
Dunque, di certa pubblicità di cui secondo taluni esegeti non si dovrebbe farne a meno, nel senso proprio del termine, la pubblicità, non solo se ne infischia ma prova una certa diffidenza verso chi asserisce che è importante «far parlare di se pur che se ne parli». Il mantra dei marchettari da strapazzo della politica come della cul-tura egemone, sempre pronti a presenziare e a mettersi in mostra, gli è indifferente. Parliamo dello show nello show dei piccoli faccendieri che vive di occasioni e del propendere in direzione di una legge-regola di mercato. Inoltre, alla contrapposizione che si fonda sulle vittime di turno e i tribunali allestiti dai bravi funzionari per la repressione dell’eresia, ha sempre preferito criticare costruttivamente l’ingranaggio che si alimenta proprio grazie l’ausilio di un’altra regola invalsa: il mantenimento del clivage destra/sinistra, fascismo/anti-fascismo a cui nessuno da più importanza. Il motivo è presto detto: l’egemonia dominante è indubbiamente una monade ma possiede una visione binaria che gli permette di mantenersi in vita, escludendo dal discorso qualsiasi cosa che si discosta o che non si riconosca nel Leviatano della cultura dominante. Intrisa di una mentalità che stringe come una morsa la politica, l’economia, i vari ambiti e sfere, alimentando il falso mito del tipo di società in cui viviamo. La quale, non dimentichiamolo, è tutto tranne un qualcosa che è il più vicino possibile al senso compiuto di comunità.
Le accuse fioccano ma Alain de Benoist risponde con il lavoro intellettuale e le sue opere, delle vere e proprie spade taglienti che colpiscono nel segno e si fanno conoscere. Dal 19 maggio 2023 è possibile leggere il suo “L’io e il tu. Martin Buber teorico della reciprocità”, edito dai tipi di Diana Edizioni. Giova ricordare ai detrattori incapaci di porre delle obiezioni, figuriamoci delle critiche, che «sarebbe il caso di acquistare i libri e di leggerne articoli e interviste in ogni numero di Diorama Letterario». Cosa da cui potrebbero trarre giovamento anche coloro che hanno smesso di leggere l’unica Rivista in Italia che pubblica il pensiero di Alain de Benoist, così come chi non conosce affatto il suo pensiero.
Da decenni il G.R.E.C.E. ha contribuito a sostenere con la forza delle sue idee e dei lunghi pensieri il lavoro di Diorama Letterario e di Trasgressioni. Influenzando e continuando a farlo, generazioni di giovani e meno giovani. Ora è il momento di uno sforzo in più: dai lettori di sempre a coloro che conoscono poco o per nulla la bontà delle nostre idee e delle riflessioni che ne sono scaturite. La cultura dominante incomincia a traballare sotto il peso delle sue accuse, i piedi d’argilla sprofondano nel terreno sabbioso da cui non traggono benefici e giovamento.