“Quella sui diritti civili non deve essere una lotta ideologica”. Queste poche parole, così allineate, fotografano l’errore concettuale in cui si impantanano le riflessioni fatte da un componente del Governo in carica durante il suo breve intervento al convegno sulle politiche per la famiglia organizzato pochi giorni fa a Roma.
Duplice, correlato errore concettuale: in primo luogo perché quello in atto, piaccia o non piaccia ai cultori del pensiero debole, che si trovano a destra come a manca, è un vero e proprio scontro ideologico.
E chiariamolo subito: ideologia non è necessariamente una brutta parola, anzi: il termine è concettualmente neutro e indica una visione strutturata della società e del mondo, che può essere fondata su principi correlati tra loro, costituenti fonti virtuose di produzione di senso o, al contrario, su un’idea di società allucinata e disumana. In una parola: distopica. Le questioni della fecondazione eterologa e dell’utero in affitto, punti chiave -tra l’altro- del manifesto del Gay pride nazionale che si celebra in questo mese, riguardano e innescano dunque una lotta essenzialmente ideologica perché fondata su contrapposte concezioni dell’uomo e della donna e del loro statuto antropologico e che si combatte tra chi ritiene che questo debba fondarsi sull’ ordine naturale e quanti sostengono che esso sia un fatto meramente culturale, che può ben essere governato dalla Tecnica, come Nomos costitutivo di una nuova generazione di “diritti”.
Ed è quindi del tutto ideologica la contrapposizione tra chi considera un proprio “diritto” attuare ciò che Tecnica e disponibilità economica gli consentono e quanti ritengono il vivente e la dignità della persona irriducibili allo status di merce.
E qui veniamo al secondo errore concettuale di chi, accettando inconsapevolmente l’impostazione liberista e astratta della scienza giuridica antinaturalistica, si sottomette alle creazioni concettuali del postumano, qualificando come “diritto civile” quello che altro non è che nichilistica volontà di potenza e di dominio sul corpo umano e sulla vita nascente.
E non è allora un caso se quell’esponente di governo ha concesso che si possa parlare di “diritto di avere un figlio”. Un “diritto” che non si trova codificato in alcuna Costituzione né nelle Dichiarazioni dei diritti dell’Uomo e del Fanciullo, e che può considerarsi tale solo in un orizzonte che non richiede più, come era nella antica grecità, quella compenetrazione tra Nomos e Physis, tra norma e natura, che manifestava la profonda e armoniosa unità del Cosmo e dei suoi abitatori.
Il Nomos della Tecnica postula di converso, che la possibilità di realizzazione del desiderio conduca inevitabilmente alla sua elevazione a nuovo “diritto” secondo le modalità e le procedure dell’ordinamento positivo o più spesso, come avviene in Italia, surrogando l’inerzia legislativa con la produzione giurisprudenziale, codificatoria nei fatti, che sostituisce la potestà del legislatore con quella del suo interprete, che conia la norma di diritto positivo ad hoc.
È dunque innegabile che si tratti di una lotta ideologica e chi non lo capisce è destinato a perderla. E questo non possiamo permettercelo perché la posta in gioco riguarda la dignità del vivente, la tutela dei diritti indisponibili della persona contro i desideri di appropriazione e spoliazione dell’umano da parte di elite di censo che concepiscono il nascituro e il vivente come una cosa assemblabile in laboratorio, negoziabile contrattualmente e realizzabile grazie alla “forza lavoro” di un lumpenproletariato che mette a disposizione le proprie capacità procreative per bisogno. Si abbia dunque il coraggio di sostenere che quella in atto è una guerra ideologica e nichilista contro quanto vi è di più prezioso nella natura umana, contro il concetto di persona, contro gli inalienabili diritti dell’essere umano.
E che a questa aggressione nichilista si può, si deve rispondere rivendicando la dignità del vivente, il suo essere naturale, il diritto di coltivare relazioni significative con entrambi i rami parentale, la profondità delle fonti di produzione di senso di uno statuto antropologico fondato sull’affettività, la casualità, la libertà da condizionamenti, il “mistero” della vita nascente.
È questo che ci attendiamo da una politica veramente attenta alle ragioni dell’umano. Ma senza consapevolezza della posta in gioco si rimarrà sempre in balia delle suggestioni dei sostenitori dell’edonismo mercatista del diritto di avere diritti su tutti e tutto grazie alle possibilità tecnologiche ed economiche.
L’articolo è stato pubblicato anche dagli amici di Arianna Editrice in data 15/06/2023.