«Ce qui rend les amitiés indissolubles et double leur charme est un sentiment qui manque à l’amour : la certitude»
(Honoré de Balzac)
Scrivere di una persona a cui si tiene tanto è sempre molto difficile, perlomeno lo è per me. Figuriamoci se poi ricorre la data del suo ottantesimo compleanno, una cifra tonda. Anzi, circolare. Proviamoci, assieme a tutti gli amici che partecipano a questo scritto. Iniziamo col dire che parecchi degli anni vissuti da Alain de Benoist li ha trascorsi dedicandosi quasi interamente alla storia delle idee, squarciando una visione e l’idealtipo sin troppo caustici di un certo specialismo sterile.
Piu precisamente, elaborando delle nuove sintesi e riuscendo a delineare le strade, le scorciatoie sono ben un’altra cosa, delle idee dell’uomo. Addentrandosi nelle grandi forme di concettualizzazione e applicandole interamente ai domini della filosofia, dell’epistemologia, dell’ontologia, dell’ermeneutica, della filosofia politica, cambiando totalmente il modo di intendere la metapolitica. A questo, dobbiamo sommare la virtu’ di avere una penna eccezionale e di essere uno scrittore e un giornalista fuori dal comune.
Le elaborazioni di Alain de Benoist sono il frutto di anni di studi, di quella curiosità sana nel capire e tracciare percorsi mai battuti, osservando attentamente le faglie e lo sviluppo delle idee dell’uomo. Prima di ogni altra cosa, è un amico prodigo di consigli che mi ha avvicinato sempre più a quella che sarebbe diventata per me una certezza: la volontà e l’azione degli uomini hanno inciso nelle epoche storiche, la volontà e le azioni si esercitano sempre nel contesto di un certo numero di convinzioni, di credenze, di rappresentazioni che conferiscono loro un senso e le orientano. Quello che è riuscito a scorgere, è l’ambizione dell’uomo di contribuire al rinnovamento di queste rappresentazioni socio-storiche. Nessuno come lui, salvo rare eccezioni, ha ben individuato queste trasformazioni.
Gli autori imprescindibili che lo hanno influenzato in gioventù sono Nietzsche, Jünger, Spengler, Carl Schmitt, Max Weber e tanti altri. Successivamente, le letture di Heidegger, Hannah Arendt, George Orwell, Martin Buber che hanno avuto ugualmente un forte impatto sulla sua crescita intellettuale e sul pensiero critico. Tra i grandi nomi che ha conosciuto bene, troviamo gli indimenticabili Louis Rougier, Arthur Koestler, Carl Schmitt, Louis Pauwels, Jean Cau, Giorgio Locchi, Serge Latouche, Jean Baudrillard, Costanzo Preve e molti altri ancora. Questi, sono quasi tutti gli stessi autori che hanno influenzato la mia formazione da giovane. Rileggendo più volte gli scritti di Alain mi rendo conto di quanto sia riuscito ad elaborare delle tesi e degli elementi teorici, incontestabili e da diverse angolature. Questo, senza fermarsi alle sole teorie che questi autori gli hanno fornito.
Una delle sue grandi passioni è il cinema e da adolescente frequentava la Cinémathèque de Paris, guardando tre film al giorno: «Negli anni ’60 e ’70 amavo il cinema italiano, soprattutto Dino Risi, Luigi Comencini, Ettore Scola, i fratelli Taviani, Francesco Rosi e anche Pasolini» [1]. Chiaro è che Alain de Benoist è un cultore del cinema a cui associa ad esso l’importanza della sfera del linguaggio, la profondità dell’interiorità dell’uomo e l’essere uno degli spazi importanti che veicola le riflessioni filosofiche. Inoltre, la cinematografia è per il nostro amico l’arte popolare che diffonde un’esperienza condivisa con altri, dove il tempo e l’istante si fondono con la creatività.
Trattasi di un approccio che include la struttura della psiche, perché il cinema è popolato d’immagini mentali potenti. Quando penso alla visione del cinema di Alain mi viene in mente una sorta di recinto sacro [il greco témenos, τέμενος] che impegna l’inconscio e l’attenzione cosciente con successo. Escludendo invece dal ragionamento, ogni tipo di psicologismo del cinema e con un occhio di riguardo ai film di Ingmar Bergman, Stanley Kubrick e di Terrence Malick.
Andando indietro nel tempo, chi mi fece conoscere il pensiero e le opere di Alain de Benoist è il professore Marco Tarchi. Da giovane adolescente ero un lettore della Rivista “Diorama Letterario “ e ne condividevo gli spunti e le riflessioni. Man mano che leggevo gli scritti di Alain de Benoist, parallelamente alle copie dei suoi libri e degli articoli in francese (parecchi non erano ancora stati pubblicati in Italia!), mi accorsi di avere davanti a me non un autore controcorrente come spesso viene definito, bensì una personalità unica e un intellettuale fuori da ogni schema. Un pensatore non iscritto all’albo dell’intellettualismo («Ismo»), cosa che di per sé non ha mai sopportato.
In tal senso, il pensiero del nostro amico è sempre stato coerente: «Il nostro “anti-intellettualismo” deriva da questa convinzione che la vita vale sempre più dell’idea che ce ne si fa; che c’è preminenza dell’anima sullo spirito, del carattere sull’intelligenza, della sensibilità sull’intelletto, dell’immagine sul concetto, del mito sulla dottrina» [2]. In questa riflessione, non c’è traccia dell’intellettualismo che tira solo a indovinare. Piuttosto, è facile scorgere un pensatore che legge tra le pieghe del passato, del presente e dell’avvenire, senza badare troppo a quelle di un ipotetico futuro astratto. Oltre a ciò, troviamo tre delle sue peculiarità maggiori: la concezione della vita, il tipo di personalità e la sensibilità molto particolari. Ne mancano altre quattro che non sono certo da meno: il senso della reciprocità, del dono, della gratuità e quello dell’amicizia.
Parecchi anni fa gli chiesi un’intervista per un magazine in Rete, cosa per me molto difficile per il motivo che intervistare la gente non rientra proprio nelle mie capacità. Telefonai e poi vidi di persona un caro amico, lo scrittore e giallista italiano Andrea G. Pinketts, scomparso il 20 dicembre 2021. Il quale, conoscendo bene la mia passione per il pensiero di Alain ma anche i miei limiti, come fece in altre occasioni mi consigliò di lasciare perdere: «puoi essere in grado di fare tutto, tranne che riuscire a farti gli affari degli altri. Le interviste non fanno per te». Sapeva bene che ogni volta che mi veniva in mente di intervistare qualcuno era un disastro. Nonostante questo, fui davvero felice di farlo.
Una cosa di cui sono sempre stato convito è questa: la Francia e l’Europa, dal secolo scorso agli anni duemila, non riescano a capire pienamente con che figura e mente hanno fortunatamente a che fare. Nonostante sia figlio del ‘900 in lui spicca quel qualcosa di unico e raramente riscontrabile: ritrovo, spesso mi capita di pensarci, da una parte il «sismografo» dei nostri tempi, come Jünger ma a cavallo tra la modernità e la postmodernità. Dall’altra parte invece, un’originalità indiscussa con una eccezionale facoltà di osservare le cose del mondo da una prospettiva rarissima. Dal suo pensiero scaturiscono e si alimentano le percezioni e la sensibilità che non si fermano ai classici: nella mente di Alain si annida il genio che dà del tu alla precognizione e va a braccetto con il destino!
E tra le altre cose, muovendosi in maniera accorta ed efficace nel complesso mondo delle idee, delle nuove e vecchie ideologie, delle tendenze, degli atteggiamenti filosofici e degli assiomi scaturiti dall’essere umano. In special modo, indagando quelli riguardanti l’assiomatica dell’interesse, la Forma Capitale, l’individualismo metodologico, le storture dell’ideologia della crescita infinita, le specificità dell’ideologia liberale, del progresso, dei diritti dell’uomo e dell’espansione del valore mercantile in ogni ambito e sfera. Addentrandosi in ogni disciplina che gli permetta di indagare e di proporre elaborazioni precise quanto incisive, scevro da ogni condizionamento o inclinazione ideologica e dottrinaria.
Quando venne in Italia per partecipare a “Libropolis-Festival dell’editoria e del giornalismo”, mi chiese se potevo dargli una mano e se avevo qualche idea per far pubblicare in Italia la sua biografia già molto conosciuta in Francia. Riflettendo, proposi il lavoro all’amico Andrea Scarabelli, curatore della Collana “L’Archeometro” di Edizioni Bietti di Milano. Dal 25 giugno 2021, finalmente i lettori possono leggere “Mémoire vive” e conoscere Alain de Benoist anche in Italia. Non deludere un amico, la fiducia che aveva riposto in me, era ed è molto importante. Anzi, è un onore!
Il 2 dicembre del 2013 era a Milano per un convegno sulla «Sovranità». Cito questa occasione, perché ebbi l’impressione che non si trovasse a suo agio in una dimensione come quella. Non mi sbagliavo affatto, quando lo rividi ad una presentazione di un suo libro a Firenze, era chiaro che per lui il Capoluogo toscano avesse delle peculiarità molto più familiari: una spiccata identità culturale, la semplicità, il vivere l’essenzialità nei rapporti umani, la reciprocità, l’essere in un moderno agglomerato urbano ma toccando con mano le differenze esistenti da quartiere a quartiere. Lo “Strapaese” di Pavolini albergava in una città toscana in polemica con ogni forma di esterofilia e di cosmopolitismo. La stessa cosa accadde in Emilia-Romagna nella città di Modena, dove il giorno prima presentò il suo libro. Questa secondo me è una cosa che lo ha colpito particolarmente, per via del divario tra una città immersa nel verde delle colline (Firenze è inoltre una città d’arte) e la grande metropoli (Milano, la mia città) avvezza alla frenesia del produttivismo, dell’individualismo. Spesso, incline all’opportunismo da cogliere al volo.
Riflettei parecchio sulle impressioni che avevo avuto vedendolo in due contesti differenti. L’unica cosa che mi venne in mente è che Alain de Benoist è senza dubbio l’unico pensatore che io conosca ad essersi spinto, superando Nietzsche e Heidegger, ben oltre la filosofia del divenire di Eraclito. Dunque, ben oltre il fiume in piena che scorre in tutta la filosofia europea. In aggiunta, pensai anche a questo: è facile intuire che in una città come Firenze non sia stato difficile per lui cogliere la nozione dell’uomo e della città che «è la sede di incessanti trasformazioni», così come lo sono gli stessi fiorentini [3]. Sebbene Firenze sia avvezza al turismo di massa, la Regione Toscana è uno di quei luoghi in Italia dove si intravedono meno i simulacri della religione d’Occidente. Molto meno che nelle grandi città del Nord Italia, dove il «surplus» di informazioni e del consumo di certo non mitigano gli effetti ma li rinforza.
È intuibile cosa lo spinga a viaggiare in Italia, scegliendo quasi sempre delle località del Centro o del Sud. Adora Napoli che tanto lo ha colpito per la semplicità dei suoi abitanti e dove spesso soggiorna. Dei luoghi che per Alain, volendo citare Ernst Jünger, non «sono comprensibili per vie che non sono quelle degli studi» [4] in cui è ancora possibile «dormire un sonno leggero tra gli atomi dell’atemporalità» [5]. Degli atomi, degli uomini e delle comunità, non ancora del tutto scollegati uno dall’altro da una «società contrattuale» [6]. Perlomeno, non del tutto.
Un’Italia dove ha riscontrato il valore dell’amicizia di chi non pensa solo a sé stesso, il pensiero della phília scisso dalla fobia. Nell’Etica Nicomachea di Aristotele, la philia è sinonimo di “amicizia” o affetto. Per Alain de Benoist il legame dell’amicizia, il valore della prossimità tra due o più persone, diventa importante solo se si esclude dal discorso l’eccessiva somiglianza che può trasformarla in doppio. In altre parole, dicendolo con René Girard, dalla «radice aggressiva che c’è in ogni forma di aemulatio» [7] e dall’ammirazione per l’altro che rischia di diventare gradualmente invidia. Purtroppo, una cosa che gli è capitata di sperimentare in passato, senza però mai dargli peso. La spiegazione è molto semplice: trattasi di un impulso e di stati emotivi che gli sono totalmente estranei!
Andando nello specifico, per il nostro amico il tipo di contrasto biblico tra Caino e Abele, quello di Atreo e Tieste, di Romolo e Remo trasposti nel rapporto di amicizia, sono un’assurdità senza senso. L’amicizia non è un qualcosa di diverso dalla coesione comunitaria. Insomma, mettere in discussione il modello greco-romano dell’amicizia perché «dominato dal valore della reciprocità, dalla concordia omologica, immanentista, finitista», attribuendogli inoltre di recare in sé «il potere, di infinitizzarsi e di asimmetrizzarsi» è forviante [8]. Secondo Alain de Benoist, il valore intrinseco dell’amicizia è ben lontano dall’avere qualcosa da spartire con l’universalizzazione dell’amicizia.
Egli sa bene che la necessità di un confronto con le tradizioni ed i rapporti che riguardano l’amicizia, richiedono sforzi. Ragione per cui nella sfera dei rapporti umani a poco serve decostruire ciò che non ci piace, così come impone il modello di riferimento della società contemporanea. In primis, distinguendo ciò che ruota attorno al significato di amicalità dai principi e dai valori dell’amicizia vera e propria che è di suo ben altra cosa. La risposta di Alain de Benoist ai processi di assimilazione tra le due cose, quelli che invitano a credere «come se non si potesse né ereditare né non ereditare»[9] la cultura, le tradizioni ed il canone dell’amicizia, è nei fatti: il valore aggiunto dell’amicizia è riscontrabile nell’esperienza dell’attesa, della promessa, dell’impegno; appartiene ai domini dei tre tempi storici e nei casi più significativi al di là del tempo, mantenendo le sue specifiche e rinnovandosinegli anni a venire.
Senz’altro, guarda con attenzione sia alla dimensione del vissuto e sia a cosa accade dentro i parametri socio-culturali cui facciamo riferimento, relativi al senso di comunità. Prendendosi cura di qualcosa, l’amicizia, e vivendo l’esperienza che ben descrisse Heidegger nel «trovarsi dentro ad un “intero mondo” di sensorialità”, il cui strumento è diventato “alla mano” od, alla “portata “». La gratuità e la sensorialità di Alain, sfociano nella sfera degli affetti e nella sua interiorità, mai in modo meccanico. L’esperienza dell’essere suoi amici è riassumibile così: emergono le affinità, la reciprocità, l’affiatamento, gli intenti vivi, che sono «alla nostra portata».
Trattasi di una questione che riguarda l’educazione nel suo significato etimologico, il comportarsi in modo equilibrato (il senso della misura), l’attitudine alla regolazione, avendo tutte le qualità che non contemplano l’automatismo in un rapporto come quello dell’amicizia. Il voler assumersi la responsabilità dell’apparire empatico (positivamente) o compassionevole (negativamente) con un amico, non fa parte della personalità di Alain de Benoist. L’empatia e il compassionevole, scompaiono dinanzi alla scelta del giusto mezzo tra due eccessi: il legame forte di un’amicizia disinteressata che non si orienta e spera in un progresso e nella razionalità che tormentano i rapporti tra gli amici. E soprattutto, non riescono a sciogliere i “lacci imperscrutabili” delle normali differenze che intercorrono tra due o più persone, i caratteri che emergono, le vedute d’insieme diverse, etc. Ogni cosa che discute o che si riesce facilmente a comprende dal suo pensiero, la mette a disposizione di tutti. Chiaramente, al di là di come una la pensi.
In questo Liber Amicorum rendiamo omaggio prima di tutto ad un amico eccezionale, al legame che ci unisce, alla mente di un uomo che ha segnato la vita di ognuno di noi. Poco importa come, dove e perché. Un amico che pratica i valori autentici dell’amicizia, nonché essere un punto di riferimento imprescindibile.
Francesco Marotta
Note:
1 Intervista di Francesco Subiaco e Francesco Latilla, Dalla nouvelle droite a Mémoire vive – dialogo con Alain De Benoist, Rivista Il Borghese, gennaio 2023, Roma, cit.
2 Redazione Movimento Zero, Alain de Benoist – Atteggiamento verso la vita e società umana, http://www.movimentozero.it/, 02/09/2015.
3 Alain de Benoist, Le idee a posto, titolo originale Les idées à l’endroit, traduzione a cura di Gabriella Chioma e Marco Tarchi, Edizioni Akropolis Libri, Napoli 1983, p.98.
4 Ernst Jünger, Terra sarda, Edizioni Il Maestrale, Collana Tascabili Narrativa, traduzione a cura di Quirino Principe, Nuoro 1° gennaio 1999, op. cit., p. 22.
5 Ibid, p. 23.
6 Francesco Marotta, “Critica del liberalismo” di Alain de Benoist: contro il pensiero unico mercatista, Magazine Barbadillo.it, https://www.barbadillo.it/, 16/12/2019.
7 René Girard, La violenza e il sacro, traduzione a cura di O.Fatica e E. Czerkl, Adelphi Edizioni, Milano 1992, pp. 97-101.
8 Jacques Derrida, Politiche dell’amicizia, traduzione a cura di G. Chiaruzzi, Raffaello Cortina Editore, Milano 12/06/2020, op. cit., p. 355.
9 Ibid. p. 355.
Lo scritto dedicatomi dall’amicoFrancesco Marotta si può leggere in francese anche sul sito della Rivista Éléments: https://www.revue-elements.com/hommage-a-alain-de-benoist-penseur-et-ami-rebelle/