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Filosofia

Uscire dal nichilismo con Heidegger

Per difenderci dal nichilismo dobbiamo stanarlo. E non è sempre dove pensiamo di trovarlo a prima vista. Ci sono casi in cui Dio può allontanarci dall’Essere. Per superare il nichilismo bisogna prima sapere dove si trova. Di cosa il nichilismo è l’oblio? Martin Heidegger (1889-1976) ci invita quindi a cercare una via d’uscita dal nichilismo. Senza bruciare le tappe o prendere la strada sbagliata.

Pierre Le Vigan

In Achever le nihilisme (Pierre Le Vigan, Sigest, 2019), l’idea fondamentale alla base dell’opera era che, per sfuggire al nichilismo, cioè al nulla, bisognava andare fino in fondo a questo nulla mettendo da parte tutte le risorse illusorie che ci si offrono. Non sono sicuro che il significato di questo approccio sia sempre stato compreso. La questione è comunque importante. Ecco perché dobbiamo tornare alla questione del nichilismo, cioè del nulla, cioè del niente.

In L’essere e il nulla, Sartre s’ispira particolarmente a Heidegger. Avrebbe potuto andare oltre e intitolare il suo libro «L’essere o il nulla». La tesi di Heidegger è infatti che nel mondo moderno l’Essere e il nulla sono la stessa cosa. Cioè che l’Essere è ridotto al nulla. A questo punto non sono sicuro che tutto ciò sia chiaro. Illuminazione. Una delle domande, se non proprio la questione filosofica, è «perché c’è qualcosa piuttosto che il nulla?».

Una prima osservazione è che la questione tende a essere superata dalla realtà. C’è davvero qualcosa? In un’epoca di decomposizione non è assurdo interrogarsi a riguardo. Ma sarebbe fuorviante continuare su questo terreno. Nulla è mai del tutto perduto definitivamente. Anche se il vero diventa falso per un momento, la questione del «c’è» sussiste. Questa famosa questione inaugurale («Perché c’è qualcosa piuttosto che il nulla?») richiede diversi livelli di risposte. Il primo consiste nel posizionarsi a valle e spiegare cos’è questo «qualcosa», cioè sezionare tutte le cose del mondo. Incluso l’uomo: la sua psicologia, la sua sociologia, il suo genere, la sua infrastruttura, la sua sovrastruttura, ecc. È il dominio dell’ontico, ed è il dominio delle scienze, siano esse scienze dure o scienze umane (che diventano sempre più dure con il terrorismo intellettuale «wokista» e, peggio ancora, con l’estensione del dominio del cretinismo).

Le cose su cui non possiamo dire alcunché

All’altro estremo, alle origini, a monte del fiume, per usare un’analogia, abbiamo l’ontologia e l’ontologico. Si tratta di rimanere stupiti di fronte al «c’è». Davanti al fatto che l’Essere è. Davanti al mistero dell’Essere. E allo stesso livello, cioè molto a monte, c’è un lavoro idraulico molto specifico. Si tratta di intervenire molto precocemente sul corso del fiume. Molto molto a monte. Ciò significa che, nel momento in cui si pone la questione «c’è», viene introdotto un ente supremo, vale a dire un modo per tagliare corto con la domanda «Perché c’è qualcosa?» Perché? Perché c’è un Dio. Tutto qua. In effetti non c’è più niente da capire. A partire da qua, sotto Dio (ente supremo), ci sono gli enti minori, le piccole cose che l’ontico avrà il compito di sezionare: le cose a portata di mano, le cose quotidiane, ecc. Tutte cose che hanno, o meno, una funzione strumentale. Le quali possono risvegliare il nostro senso estetico, dare origine alla poesia (Francis Ponge, Le partial pris des chooses), ecc. Tutte cose certamente non insignificanti. Ma lungi dall’essere la risposta al «c’è».

Questo dominio, il dominio dell’ente supremo, è quello dell’ontoteologia. È il dominio, definito da Kant nella Critica della ragion pura, di tutto ciò che esiste (sebbene nulla lo dimostri) al di fuori dell’esperienza, cioè Dio, l’anima, il mondo (il mondo che sarebbe l’insieme di tutti gli enti non supremi). L’ontoteologico è quindi il dominio delle cose sulle quali non possiamo dire alcunché. Ma, invece di seguire il consiglio di Wittgenstein («di ciò di cui non possiamo parlare, dobbiamo tacere»), ne parliamo, e parliamo indiscriminatamente di queste cose che non possiamo sperimentare, di Dio, dell’anima, del mondo. Perché, ad esempio, se alcuni di noi possono fare l’esperienza della fede, non si può fare l’esperienza di Dio, se non in uno stato di trance che sarebbe ragionevole lasciare a Greta Thunberg.

L’oblio dell’Essere

Va notato che, approfondendo il concetto, al di là di un certo grado di dogmatismo, l’ente supremo può essere qualcosa di diverso da Dio, ad esempio l’infrastruttura economica, nel marxismo-leninismo delle origini. Ma un simile sostituto ideologico di Dio è di livello troppo basso per essere sostenibile, come ci ha mostrato la storia. L’ontoteologia è in ogni caso la stessa cosa che Heidegger designa come metafisica. La critica per un motivo: aver dimenticato la questione del «c’è», a ciò, come abbiamo appena visto, fornendo una risposta rapida e semplicistica: Dio. L’ontoteologia lascia all’ontico l’intero campo del dimostrabile, dello sperimentabile, del manipolabile. Pertanto, la metafisica (o l’ontoteologia) è l’oblio dell’essere. Si è dimenticata dell’Essere perché ha già risposto a questa domanda. Sostituisce l’Essere con Dio: una pura esteriorità rispetto al mondo. A meno che non si tratti di una tautologia come nel caso di Spinoza. Dio o la natura («Dio, intendo la natura», diceva esattamente Spinoza. Il significato è lo stesso). Dio è dunque la pura interiorità del mondo (Dio o la storia, dirà Hegel. Il senso è sempre lo stesso: rimettere dentro Dio dal fuori). Risposta abile e potente ma che non può che portare grossi problemi con le religioni monoteistiche. In effetti, a quel tempo, i custodi del dogma monoteistico non erano ciechi. «Non nego affatto Dio, ma Lui è ovunque ed è tutto». Ciò, in realtà, non supera l’esame tecnico biblico.

Per Heidegger bisogna quindi uscire dalla metafisica (o ontoteologia). Ma in un certo senso ne siamo già fuori. Il problema è che noi ne siamo usciti a valle, mentre Heidegger vuole che ne usciamo a monte, prima della deviazione ontoteologica. A valle, infatti, la metafisica è essa stessa superata dalla tecnica. Stadio finale della metafisica, questa elimina la questione di Dio per dirci che la causa prima delle cose va ricercata nelle cose stesse. Leibniz diceva: «Niente accade senza che ci sia una causa o almeno una ragione determinante». Ebbene, adesso diciamo: la ragione delle cose è la loro manipolabilità, è il loro carattere manipolabile, irragionevole da parte nostra. Ci sono le cose perché possiamo esserne padroni e possessori.

Quindi non c’è più nulla tra l’Essere e l’ente. Rimangono solo gli enti. Dio è andato in esilio. Se non c’è più differenza Essere/essenti, non c’è più differenza ontologica. Dio non ha rimpiazzato l’Essere, ma ne ha occupato il posto. Il posto è vuoto e il mondo moderno ci dice che questo posto non ha più ragione di esistere. Desacralizzazione del mondo. Soppressione del posto. Oppure la delocalizzazione: ecco perché l’Islam ci fa cucù. Questa è la questione del nulla: se c’è solo l’ontica, o un’ontoteologia sommaria – rappresentata da mediocri teologico-politici di tipo jihadista –, non c’è più alcun Essere, il che significa che l’Essere è ridotto al nulla. Sia dal punto di vista scientifico e quindi ontico, sia dal punto di vista ontoteologico e quindi deista, non esiste più alcuna differenza ontologica. Ne consegue che l’Essere è il nulla. Questo è nichilismo. Lo spessore delle cose, il loro significato, è annientato. La differenza ontologica, quella tra Essere ed ente, tra ontico e ontologico, è appiattita come un foglio di carta da sigarette. Conseguenza: non c’è più alcuna profondità nella nostra presenza nel mondo. Siamo convocati in un presente continuo e richiamati all’immediatezza in tutte le nostre azioni. Tutto è sempre già rivelato. Le prospettive, che sono proprie dell’uomo, scompaiono. L’uomo diventa postumano.

Come reincantare?

La tecnologia come stadio ultimo, stadio finale della metafisica (o ontoteologia) – un po’ come lo stadio positivo di Auguste Comte dopo la teologia e la metafisica (i tre stati) – va oltre l’oblio dell’Essere dello stadio metafisico semplice, quello di Dio come ente supremo. Dall’oblio dell’essere si passa all’oblio dell’oblio. Non siamo più consapevoli dell’oblio. Non sappiamo nemmeno più cosa abbiamo dimenticato, cioè l’Essere stesso delle cose. Questo è il vero disincanto del mondo, dopo la morte di Dio, una morte inevitabile come Nietzsche aveva visto chiaramente, ma che ci nascondeva la catastrofe che è nostra, in piena luce, ora che ci siamo resi conto che questa morte è avvenuta. In altre parole, non ci poniamo più la questione ontologica, quella che riguarda lo stupore, la contemplazione, il raccoglimento di fronte alla sacralità del mondo. Poniamo solo domande ontiche, che richiedono una soluzione tecnica, cioè una manipolazione. Non ci poniamo più la questione dell’ontologia stessa, cioè del ricorso all’autentico, che è consapevolezza della differenza ontologica.

Ecco perché dobbiamo sia cambiare il mondo, come diceva il nostro buon Karl Marx, restituendolo alla sua pienezza (noi chiamiamo ciò rivoluzione conservatrice), in particolare de-numerizzandolo, condizione per la restaurazione delle libertà, e reincantare il mondo. Riscoprire la meraviglia dell’aurora iniziale. L’aurora dell’Essere contro l’orrore economico. Rivoluzionare e reincantare. Estetica e politica: non è mai stato fatto alcunché di grande senza unire queste due dimensioni.

Pierre Le Vigan

Sortir du nihilisme avec Heidegger, Pierre Le Vigan, Èlèments, 31 ottobre 2022.

Traduzione a cura di Piero della Roccella Sorelli.

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