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Storia delle Religioni

La religione cosmica e l’habitat circumpolare degli indoeuropei

Si tratta di quello che ho definito (La religion cosmique des Indo-Européens, Paris/Milano: Archè, 1987) un insieme di concezioni cosmologiche e religiose incentrate sulla nozione di «cielo diurno»:  in indoeuropeo, dove non esiste un nome antico per “cielo”, lo stesso termine – a volte maschile, a volte femminile (cfr.infra) – designa sia il giorno (latino diēs), sia il sole (ittita sius), sia il cielo che il giorno (indiano-antico dyaus). Questa nozione è divinizzata (Jūpiter, Zeus, Dyaus, Sius), e gli dèi sono chiamati «quelli del cielo diurno»: è al centro di una religione che si può quindi definire «cosmica».

D’altra parte, implica l’esistenza di una cosmologia particolarmente arcaica che comprende anche un «cielo notturno»,  l’«Ouranos stellato» di Omero. Il cielo notturno è il dominio dei demoni e delle anime dei morti; la sua divinità principale è il dio della Luna, nemico dei demoni e re dei morti, in quanto «primo morto». La triade di colori (sopra § 1.4.2) suggerisce che il cielo bianco del giorno e il cielo nero della notte fossero separati da un cielo rosso, il cielo dei due crepuscoli. Le divinità principali di questo cielo rosso sono Aurora, «Figlia del cielo diurno (maschile)» o «Figlia del sole (femminile)», e i Gemelli divini, «Figli del cielo diurno (maschile)», secondo la forma tradizionale. Parte della loro mitologia prevede il ritorno dell’Aurora fuggitiva o rapita, riportata indietro dai suoi due fratelli. I gemelli potrebbero anche essere i figli del cielo diurno (maschile) e della sua figlia Aurora, come risultato di un incesto cosmico primordiale. L’alternarsi annuale del giorno e della notte era concepito come la prigionia in una roccia o in una grotta della dea Cielo diurno/Sole (femminile) e la sua liberazione, da cui la nozione di «cielo di pietra».

La mitologia di queste divinità esprime soprattutto il desiderio del ritorno della bella stagione, conosciuta come l’alba dell’anno o l’Aurora dell’anno, come nel nome tedesco della Pasqua, Ostern. Più in generale, la corrispondenza osservata tra le parti del giorno di ventiquattro ore e le tre stagioni dell’anno (giorno ed estate, notte e inverno, ‘aurora’ e primavera), corrispondenza che dà significato all’unione di Zeus Daytime Sky e Hera Beautiful Season (inglese year, tedesco Jahr «anno»), indica una familiarità con le realtà circumpolari, attestata anche dal gruppo formale di nozioni che attraversano l’acqua delle tenebre invernali (§ 1.4.2).

La storia scandinava del gigante muratore che chiedeva come salario il sole, la luna e la dea Freyja, l’alba dell’anno, che è stata paragonata alla leggenda greca della prima distruzione di Troia, esprime la paura di un’eterna notte invernale senza sole, senza luna, senza aurora. È probabilmente a questo periodo che risalgono la doppia omologia stabilita tra la luce, la verità e il bene, da un lato, e le tenebre, la menzogna e il male, dall’altro, la divisione del mondo soprannaturale in due classi antagoniste di divinità diurne e demoni notturni, e le storie e i rituali riguardanti il ritorno della luce o la lentezza dell’Aurora; In seguito, i poteri notturni sono stati integrati nel pantheon e i benefici della notte sono spesso cantati.

Questo insieme di concetti risale a un periodo molto precoce della comunità linguistica ed etnica e a una cultura epipaleolitica (mesolitica) o paleolitica, in cui la vita era precaria e strettamente dipendente dal ciclo delle stagioni. Il cavallo non era ancora stato addomesticato: i Gemelli Divini, che in seguito saranno associati al cavallo (gli Aśvin indiani, i Dioscuri della cavalleria, Hengest e Horsa), erano associati all’alce, come testimonia il nome dei Dioscuri germanici, i gemelli Alces della Germania di Tacito. La società non conosceva gruppi superiori alla “banda” primitiva: solo la sua denominazione è certamente antica; quelle di stirpe e tribù sono più recenti (§ 1.9). Possiamo quindi ipotizzare una società poco differenziata, e quindi poco interessata alla politica, con nessuna stratificazione se non quella dei sessi e delle fasce d’età. I riti di passaggio dei ragazzi dall’infanzia all’età adulta hanno lasciato tracce in epoca storica, in particolare nella cripta lacedaemone. È anche a questa antica forma di società che si possono ricondurre le leggende dei gemelli (umani) che vengono espulsi in compagnia della madre e vanno a fondare una nuova comunità, oppure tornano alla comunità di origine per punire i loro persecutori e prendere il potere. Le loro leggende hanno spesso caratteristiche simili a quelle dei racconti meravigliosi, la cui origine paleolitica è stata dimostrata. L’idea che i bambini nascano dalla reincarnazione dell’anima di un antenato, senza che si stabilisca alcun legame con la fecondazione, è legata a questo periodo in cui non si praticavano né l’allevamento né l’agricoltura. Infine, le vestigia della filiazione matrilineare, come il ruolo privilegiato dello zio materno o la trasmissione del potere al genero (la successione dei re del Latium), che sono in contrasto con il carattere esclusivamente patrilineare della filiazione in epoca storica, risalgono verosimilmente a questo periodo e coincidono con il genere femminile della divinità suprema, il Cielo diurno, che sarebbe stato sostituito dal «Padre Cielo», Jūpiter, Zeus patēr, ecc.

L’identificazione archeologica più probabile è la cultura epipaleolitica (mesolitica) di Maglemose, con le sue estensioni circumpolari (Carl-Heinz Boettcher, Der Ursprung Europas, St.Ingbert:Röhrig,1999). L’albero (*de/oru-) per eccellenza è il pino nordico: l’aggettivo derivato dal suo nome, *derwo-, si riferisce al catrame (germanico *terwa-). Più tardi è diventato la quercia.

Jean Haudry

Traduzione a cura di Piero Sorelli della Roccella.

Jean Haudry

Linguista, indoeuropeista, professore associato di grammatica, dottore in lettere, professore di sanscrito ed ex preside della Facoltà di Lettere e Civiltà dell’Università Jean-Moulin (Lione), direttore di studi all’Ecole pratique des Hautes Etudes (EPHE), Jean Haudry è uno dei grandi specialisti del mondo indoeuropeo. Nel 1981 ha fondato l’Institut d’Etudes indo-européennes, recentemente trasformato in società scientifica indipendente a seguito di una campagna di demonizzazione. È autore di opere fondamentali sull’argomento come L’Indo-Européen (Que sais-je? 1798), Les Indo-Européens (Que sais-je? 1965, ritirato dal catalogo), La religion cosmique des Indo-Européens (Archè/Belles Lettres), ecc.

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