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Economia Metapolitica

Il Grande Colloquio de Le Diplomate con Giuseppe Gagliano

Il G.R.E.C.E Italia ringrazia l’amico Giuseppe Gagliano che ha gentilmente concesso al Gruppo di Ricerca e Studi il testo dell’intervista che ha rilasciato a Le Diplomate.Media in lingua italiana. Le Diplomate.media, «Le Diplomate, il media e il riferimento per la geopolitica e la diplomazia reale!».

G.R.E.C.E. Italia

Giuseppe Gagliano, laureato in filosofia all’Università di Milano, è un esperto riconosciuto delle questioni strategiche e dell’intelligence economica in Italia, discipline che insegna presso l’Università della Calabria e presso l’Istituto Alti Studi Strategici e Politici (IASSP) di Milano.

Autore di una produzione impressionante, ha pubblicato più di trenta opere (di cui quattro in francese) dedicate alla filosofia politica, sociologia, strategia, relazioni internazionali, studio del terrorismo e dei movimenti estremisti, geoeconomia, intelligence e guerra psicologica. Ha inoltre tradotto in italiano una mezza dozzina di libri di autori francesi sulla guerra economica, il che gli è valso il riconoscimento come principale rappresentante in Italia della scuola francese della guerra economica.

Giuseppe Gagliano collabora regolarmente con il Centro Francese di Ricerca sull’Intelligence (CF2R), con la Scuola di Guerra Economica (EGE) e con numerosi altri centri di ricerca in Italia, Brasile, Belgio, Australia e Stati Uniti. Pubblica regolarmente articoli su numerose riviste italiane, francesi (in particolare su Le Diplomate) e internazionali (Brasile, India, Svizzera, ecc.).

Giuseppe Gagliano dirige infine il Centro Studi Strategici Carlo de Cristoforis (CESTUDEC), con sede a Como, che ha fondato nel 2011 con l’obiettivo di studiare, in una prospettiva realista, le dinamiche conflittuali delle relazioni internazionali. Questo network si concentra sulla dimensione dell’intelligence e della geopolitica, ispirandosi alle riflessioni di Christian Harbulot, fondatore e direttore della Scuola di Guerra Economica (EGE).

Intervista a cura di Éric Denécé


Può presentarci il CESTUDEC e le sue attività?

Il Centro Studi Strategici Carlo De Cristoforis (CESTUDEC), che ho fondato quasi 15 anni fa, ha l’obiettivo di colmare il ritardo dell’Italia negli studi relativi all’intelligence economica, alla guerra economica, alla strategia e alla geopolitica.

L’approccio del CESTUDEC è convergente con diverse iniziative lanciate in Francia, in particolare con il Centro Francese di Ricerca sull’Intelligence (CF2R), ma soprattutto con la Scuola di Guerra Economica (EGE) di Christian Harbulot. Questi due organismi sottolineano la necessità di sviluppare una cultura dell’intelligence economica, non solo per proteggere le imprese nazionali, ma anche come strumento attivo di influenza nelle relazioni internazionali. Sono stato il primo ricercatore italiano a diffondere ampiamente, attraverso i miei lavori, le riflessioni di questa scuola francese, dal 2011 a oggi.

Concretamente, il CESTUDEC si dedica all’analisi geopolitica e alla guerra economica, ponendo particolare enfasi sulla competizione tra grandi potenze e sull’utilizzo della coercizione economica come strumento strategico. Studiamo in modo approfondito l’intelligence economica, ovvero la raccolta, l’analisi e lo sfruttamento delle informazioni economiche al fine di ottenere un vantaggio competitivo per l’Italia. In questo ambito, il CESTUDEC osserva con particolare attenzione le strategie francesi, poiché la Francia è uno dei pochi paesi europei ad aver sviluppato un modello strutturato di guerra economica.

Il CESTUDEC pubblica rapporti e saggi, mettendo in evidenza il ruolo della guerra economica e dell’intelligence economica come strumenti di sovranità. Questo concetto è spesso frainteso in Italia, dove viene erroneamente associato al sovranismo. In realtà, quando si parla di sovranità, si fa riferimento alla grande lezione di Charles de Gaulle, che rimane un punto di riferimento essenziale per costruire un’Europa veramente autonoma, affrancata dalle logiche egemoniche degli Stati Uniti.

Soprattutto, un aspetto essenziale dell’azione del CESTUDEC è la formazione delle élite politiche e imprenditoriali italiane, al fine di rafforzare la consapevolezza dell’importanza della protezione delle risorse strategiche.

Più in generale, le nostre attività di ricerca riguardano il terrorismo, la geoeconomia, la competizione tecnologica e l’influenza delle potenze emergenti.

Collaboriamo con l’Istituto Alti Studi Strategici e Politici (IASSP) di Milano, con il Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri, nonché con istituzioni accademiche estere, in particolare in Brasile.

Qual è la situazione degli studi strategici e geoeconomici in Italia, sia in termini di ricerca che di insegnamento? Le élite politiche ed economiche italiane sono interessate a queste questioni?

Se si osserva la situazione italiana in termini di studi strategici e geoeconomici, il quadro è sconfortante. A differenza della Francia, che ha integrato queste discipline nella formazione delle sue élite politiche, militari ed economiche, in Italia rimangono marginali.

L’assenza di una cultura strategica solida è dovuta a diversi fattori. Innanzitutto, l’Italia è estranea alla guerra economica. Mentre la Francia e gli Stati Uniti considerano l’economia un campo di battaglia, l’Italia continua a ragionare in termini di libero mercato e concorrenza leale, ignorando il ruolo della coercizione economica.

Il paese è ancora dominato dalla convinzione ideologica secondo cui il neoliberismo, derivato dalla Scuola Austriaca e dalla Scuola di Chicago – in particolare con Milton Friedman – rappresenti l’unica alternativa reale al dirigismo del centro-sinistra degli anni ‘60.

Tuttavia, si dimentica spesso che il neoliberismo ha causato enormi danni, soprattutto in America Latina. L’Italia, invece, dovrebbe adottare un modello di forte Stato sociale e, soprattutto, utilizzare più sistematicamente e in modo mirato il Golden Power, un meccanismo che consente al governo di intervenire per bloccare o condizionare l’acquisizione di aziende considerate strategiche.

In secondo luogo, le istituzioni accademiche e politiche sono deboli. Manca una reale integrazione tra università, imprese e amministrazione, rendendo impossibile l’elaborazione di una strategia coerente.

Infine, l’Italia non possiede alcuna dottrina nazionale di intelligence economica. Mentre la Francia ne ha strutturata una con la Scuola di Guerra Economica, l’Italia tratta ancora questo argomento in modo frammentario. Nel nostro paese, non è mai esistito un equivalente del Rapporto Martre, che è stato comunque diffuso in Italia grazie al lavoro del CESTUDEC.

Le élite italiane, sia politiche che economiche, dimostrano scarso interesse per queste questioni. I dirigenti d’azienda non percepiscono i rischi geopolitici, mentre la classe politica, salvo rare eccezioni, preferisce delegare queste questioni strategiche a Bruxelles o a Washington.

Un’eccezione notevole è l’IASSP di Milano, che ha accolto Christian Harbulot e voi stessi, grazie alla visione strategica del suo direttore, Ivan Rizzi.

Come giudica la ricerca francese sulle questioni strategiche (geopolitica, guerra economica, intelligence…)? Cosa l’ha colpita di più nell’approccio della scuola francese di guerra economica?

La Francia è probabilmente il paese europeo che ha investito di più nello studio e nella pratica della guerra economica. L’approccio francese, definito da Christian Harbulot e dalla sua équipe, nonché dal CF2R, si basa su diversi principi fondamentali:

  • L’integrazione dell’intelligence nelle imprese, con un forte legame tra servizi di intelligence, aziende strategiche e mondo accademico.
  • La comprensione che la guerra economica è una guerra combinata, che include influenza, sanzioni, controllo delle risorse e strategie di destabilizzazione economica.
  • La protezione delle imprese francesi dagli investimenti stranieri ostili, attraverso una legislazione aggressiva e un monitoraggio rigoroso degli asset strategici.

Ho spesso sottolineato che l’Italia dovrebbe ispirarsi al modello francese della Scuola di Guerra Economica per sviluppare una propria dottrina di guerra economica. Tuttavia, questo richiederebbe un cambiamento radicale nella mentalità politica ed economica del paese.

Non è un caso che abbia pubblicato in francese, presso VA Press, l’unico saggio dedicato al pensiero di Christian Harbulot. Allo stesso modo, non è un caso che la maggior parte dei saggi pubblicati in Italia dal CESTUDEC abbiano avuto come asse centrale la riflessione della Scuola di Guerra Economica francese.

Qual è la percezione che gli italiani hanno attualmente della Francia? Del suo ruolo internazionale? Vede delle convergenze tra i nostri due paesi? Sono possibili collaborazioni più strette, nonostante le cattive relazioni tra l’Eliseo e Palazzo Chigi, o i due paesi rimarranno rivali nel Mediterraneo?

Il rapporto tra Italia e Francia è sempre stato ambiguo. Da un
lato, i due paesi condividono l’obiettivo di rafforzare l’autonomia strategica dell’Europa, in particolare rispetto agli Stati Uniti. Dall’altro, competono in settori chiave come l’energia, la difesa e l’influenza nel Mediterraneo. Due esempi emblematici illustrano questa rivalità:

  • Il conflitto tra ENI e Total, che ha portato a scontri diretti sulla gestione delle risorse energetiche in Africa e Medio Oriente.
  • Il caso STX, in cui la Francia ha bloccato l’acquisizione del suo cantiere navale da parte dell’italiana Fincantieri, per proteggere i propri interessi strategici.

Nonostante queste tensioni, una cooperazione più approfondita tra i due paesi sarebbe possibile, in particolare nei settori della difesa europea e della sicurezza energetica. Tuttavia, le frizioni diplomatiche tra l’Eliseo e Palazzo Chigi rendono difficile la costruzione di una vera alleanza strategica.

A questo proposito, ho sempre sostenuto – così come Harbulot e voi stessi – la necessità di un’alleanza strategica con la Francia, con l’obiettivo di ridurre le ambizioni egemoniche degli Stati Uniti e di costruire un’Europa realmente sovrana.

Qual è il livello di sovranità dell’Italia in ambito politico ed economico?

L’Italia è uno dei paesi europei con la maggiore presenza di basi militari straniere, il che limita fortemente la sua sovranità. Sigonella, Aviano, Vicenza e altre installazioni americane non rappresentano solo un vantaggio strategico per la NATO, ma anche un fattore di dipendenza geopolitica.

Dal punto di vista economico, l’Italia ha perso il controllo di numerose imprese strategiche e sta subendo un’erosione progressiva della sua sovranità industriale. La sua dipendenza dalle istituzioni europee e la sua scarsa autonomia decisionale in politica estera la rendono vulnerabile alle decisioni prese altrove.

In altre parole, l’Italia sta svendendo il proprio patrimonio industriale, sia a favore di altri paesi europei che extraeuropei, ma soprattutto rinunciando alla sua sovranità economica, principalmente a causa dell’incompetenza e della corruzione della sua classe politica.

Un esempio lampante di questa situazione è il fallimento del governo italiano nel risolvere il colossale deficit economico di Alitalia, la compagnia aerea nazionale. Un altro caso emblematico è l’acquisizione di Piaggio Aerospace – vero gioiello della tecnologia italiana – da parte della Turchia.

Qual è la percezione del conflitto ucraino in Italia? Come viene percepita la politica di Bruxelles nei confronti di Mosca? Qual è la sua opinione sull’evoluzione della guerra in Ucraina, dal punto di vista politico, militare e delle sanzioni?

In Italia, il conflitto in Ucraina è stato percepito in modo ambivalente. Da un lato, il governo italiano ha seguito la linea atlantista in maniera totalmente dogmatica e senza la minima critica, come un allievo diligente ma privo di autonomia di pensiero di fronte al proprio maestro. Dall’altro, l’opinione pubblica si è divisa tra coloro che sostengono l’Ucraina e coloro che temono che le sanzioni contro Mosca danneggino più l’Europa che la Russia stessa.

Solo poche voci dissidenti sono riuscite a mettere in discussione e a contrastare la narrativa dominante filo-atlantista e filo-americana in Italia. Tra queste – oltre al CESTUDEC, naturalmente – vanno menzionati Fulvio Scaglione, direttore di InsideOver, Giandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, e Alessandro Orsini, direttore del Centro per lo Studio del Terrorismo dell’Università di Roma Tor Vergata. Anche alcuni giornalisti come Marco Travaglio, direttore de Il Fatto Quotidiano, e Alberto Negri, del quotidiano Il Manifesto, hanno svolto un ruolo nella critica alla narrazione dominante.

Dal punto di vista strategico, è innegabile che la guerra abbia rafforzato la dipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti, riducendo ulteriormente i margini di autonomia strategica di un paese come l’Italia.

Come viene percepita l’Unione Europea in Italia? Gli italiani sono soddisfatti della sua evoluzione? Sono favorevoli al rafforzamento della difesa europea o preferiscono continuare a fare affidamento sulla NATO?

L’Unione Europea è spesso percepita in Italia come un’istituzione burocratica distante, incapace di rispondere efficacemente alle crisi mondiali.

In particolare, il tema della difesa comune europea è controverso. Da un lato, alcuni ritengono necessaria una maggiore autonomia europea in materia di difesa. Dall’altro, molti continuano a vedere la NATO come l’unica vera garanzia di sicurezza.

La maggior parte degli istituti di ricerca più influenti in Italia legittima questa subordinazione dell’Europa alla NATO, respingendo sistematicamente l’idea di una difesa europea autonoma. Inoltre, non bisogna dimenticare che molte di queste istituzioni sono direttamente finanziate dalla NATO o dagli Stati Uniti.

Siamo quindi ben lontani da una visione neo-gaullista, che ho sempre sostenuto ma che ritengo praticamente irrealizzabile per un paese come l’Italia. In realtà, l’Italia è oggi una portaerei degli Stati Uniti nel Mediterraneo.

Quali sono le principali sfide di sicurezza interna, economica ed esterna per l’Italia?

L’Italia deve affrontare una serie di sfide sempre più complesse:

  • L’instabilità nel Mediterraneo e nei Balcani, che minaccia direttamente la sicurezza nazionale. L’Italia avrebbe dovuto concentrare la propria attenzione su queste due aree geografiche, che sono strettamente legate ai suoi interessi strategici e alla sua storia. Tuttavia, la sua dipendenza dalla NATO e dagli Stati Uniti l’ha allontanata dalla difesa dei propri interessi nazionali.
  • La dipendenza energetica, che espone il paese a pressioni esterne. L’Italia non è riuscita a perseguire il progetto ambizioso di Enrico Mattei. Al contrario, ha preferito – e preferisce tuttora – subordinare la propria sicurezza energetica ad altri paesi. Con il conflitto tra Russia e Ucraina, l’Italia è diventata ancora più dipendente dagli Stati Uniti di quanto non fosse in precedenza. Questa guerra ha chiaramente favorito le compagnie petrolifere americane.
  • Le minacce informatiche, che prendono di mira le infrastrutture critiche e le aziende strategiche. Finora, l’Italia ha dimostrato una totale vulnerabilità di fronte agli attacchi hacker, ma anche a causa della sua dipendenza dalle aziende israeliane, alle quali ha praticamente esternalizzato la propria sicurezza. Ciò è emerso chiaramente nei recenti scandali, ampiamente riportati dalla stampa nazionale. In realtà, sembra che oggi l’Italia sia subordinata al Mossad tanto quanto alla CIA.

Qual è il ruolo dei servizi di intelligence e sicurezza nella difesa dell’Italia? Come si collocano rispetto alle agenzie occidentali?

I servizi di intelligence italiani hanno migliorato le loro capacità negli ultimi anni, ma rimangono fortemente limitati a causa della scarsa integrazione con il mondo industriale e della loro dipendenza dalle reti di intelligence anglosassoni.

Parlare di dipendenza è un eufemismo: da un punto di vista storico, è stato ampiamente dimostrato che i dirigenti dei nostri servizi segreti – in particolare quelli militari – sono sempre stati sotto il controllo degli americani. Infatti, la loro nomina è sempre stata – e lo è ancora oggi – ratificata da Washington.

Inoltre, non bisogna dimenticare che la storia dei servizi segreti italiani è sempre stata segnata da numerosi scandali – come il caso della Loggia P2 – e ha visto il coinvolgimento dei servizi stessi in operazioni di disinformazione e destabilizzazione, in particolare con la strategia della tensione. Questi eventi sono stati ampiamente documentati da inchieste giudiziarie e commissioni parlamentari.

Se l’Italia vuole davvero difendere i propri interessi nazionali, deve:

  1. Investire nella formazione di una nuova generazione di analisti strategici.
  2. Adottare un approccio più aggressivo nella protezione delle sue aziende.
  3. Elaborare una vera dottrina nazionale di guerra economica.

Per riprendere l’espressione della Scuola di Guerra Economica, l’Italia dovrebbe formare dei guerrieri economici.

Ma, a parte qualche riferimento superficiale e puramente retorico di Matteo Renzi quando era Presidente del Consiglio, l’Italia è ancora molto lontana dal raggiungere questo obiettivo. Senza cambiamenti radicali, il paese rimarrà uno spettatore piuttosto che un attore nei nuovi equilibri mondiali.


Conclusione

L’Italia si trova oggi in una situazione di forte dipendenza
politica, economica e strategica. La presenza di basi militari
straniere, la perdita di controllo su aziende strategiche e l’assenza di una dottrina di intelligence economica rendono il paese vulnerabile alle pressioni esterne.

Per colmare questo gap, l’Italia dovrebbe ispirarsi al modello
francese di guerra economica, rafforzare la propria cultura
strategica e investire seriamente nella protezione delle sue risorse critiche. Tuttavia, senza un cambio di mentalità della classe dirigente, il paese resterà subordinato alle logiche di Washington e Bruxelles, incapace di agire autonomamente nello scenario globale.

(https://lediplomate.media/, Le Grand Entretien du Diplomate avec Giuseppe Gagliano, intervista a cura di Éric Denécé, 10/02/2025)

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