Intervento di Olivier Eichenlaub, geografo e formatore presso l’Iliade Institute, al IX° convegno dell’Iliade Institute, sabato 2 aprile 2022.
Per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda, il conflitto che, dal Gennaio 2022, oppone Russia e Ucraina ha unanimemente ricordato agli Europei che è tempo di esistere come potenza politica e militare. Ma chi sono questi Europei e di che zona parliamo? Di cosa parliamo quando parliamo di Europa potenza?
Invitiamo a seguire le disamine e le iniziative degli amici dell’Iliade Institute, sul loro sito internet https://institut-iliade.com/ aggiornato quotidianamente. L’incontro annuale è una vera e propria fucina di idee e di confronto.
L’Europa è ciò che ci siamo abituati a chiamare un continente, ma in realtà corrisponde solo alla parte occidentale di un insieme molto più ampio, l’Eurasia, o anche, se adottiamo una visione più allargata, l’Eurafrasia: è inseparabile dall’Asia, che è essa stessa non propriamente distinta dall’Africa, se non per il sottile filo del Nilo, secondo un limite giuridicamente posto dai Greci fin dall’Antichità. Lo stesso Nietzsche1concepiva molto modestamente il nostro «continente» come «una piccola penisola» all’estremità occidentale della «antica Asia». Questa realtà geografica comporta ovviamente una reale difficoltà di definizione territoriale, mentre apre un gigantesco spazio di libertà per definire i limiti dell’Europa e, con essi, i criteri a partire dai quali questi limiti possono essere cartografati. In definitiva, questa delimitazione dipende più da un atteggiamento storico o politico che dalla tettonica a placche. Ma, come ricorda Paul Valéry2, essa si basa comunque su una geografia reale: «Qualsiasi razza e ogni terra che sia stata successivamente romanizzata, cristianizzata e sottoposta, in quanto allo spirito, alla disciplina dei Greci, è assolutamente europea». Ciò significa chiaramente che lo spazio eurasiatico, come l’Eurafrasia, è una fantasia, e che la terra d’Europa è davvero saldamente ancorata da qualche parte tra l’Atlantico e gli Urali: non esiste da nessun’altra parte, anche quando gli europei partono per stabilirsi in America, in Africa o in Patagonia.
Dall’Atlantico agli Urali, l’Europa ha una configurazione geografica del tutto particolare. È un incastro di territori terrestri e marittimi che si compenetrano e si saldano tra loro, con un profilo costiero molto irregolare che crea altrettante penisole, stretti e arcipelaghi. Questa complessità non si trova in nessun’altra parte del mondo, né in America, né in Cina, né in Medio Oriente. Secondo il saggista David Cosandey3, ciò è una fonte di ricchezza incomparabile, che ha generato una stabilità politica relativa tra i popoli, portando anche una competizione stimolante tra i territori. Questa originalità, che egli riassume nel concetto di «talassografia articolata», predisporrebbe all’innovazione e all’eccellenza; sarebbe all’origine dello sviluppo della scienza e della tecnica in Europa e della superiorità continentale che ne derivò a partire dal Medioevo. Una manifesta espressione di questa potenza può essere vista nei grandi progetti architettonici medievali, che spesso sono durati per diversi secoli, consentendo a capomastri fiamminghi e francesi, scalpellini lombardi o falegnami dal sud della Germania di lavorare fianco a fianco e di costruire insieme le relazioni fraterne che hanno dato all’Europa il suo volto così riconoscibile.
Tale insieme si intrise di uno spirito feudale che ha prefigurato una filosofia politica contrattuale, favorita dal latino e dall’assetto istituzionale della Chiesa, che, a sua volta, assicurava una coerenza e un’unità spirituale la cui arte gotica diventava l’espressione architettonica.
In questo insieme più o meno frammentato di entità statali collaborative che rischiavano comunque di farsi la guerra, diversi tentativi hanno mirato a unire l’Europa in modo che assumesse e rafforzasse il suo potere su scala globale. Dopo la caduta di Costantinopoli (1464), il re di Boemia, Georges de Podèbrady, ad esempio, propose a Francia e Venezia un’alleanza con l’Ungheria e la Polonia per affrontare l’invasore ottomano. Due secoli dopo, fu il Duca di Sully a chiedere a Enrico IV di unire le potenze cristiane composte da «economie sagge e reali» in modo che le monarchie francese e inglese potessero contrastare gli Asburgo. Nessuno di questi esperimenti è riuscito a durare nel tempo, ma essi dimostrano comunque che l’unione delle forze continentali è un leitmotiv europeo. Essa si è espressa secondo tre modelli abbastanza diversi nel corso dei secoli. Il primo caso è il modello imperiale, che si ritrova tanto nelle conquiste di Cesare quanto in quelle di Napoleone, e che assunse una forma più o meno universale attraverso l’instaurarsi di colonie d’oltremare. Il secondo è il modello «westfaliano» che si basa sulla consultazione più che sulla guerra, in una logica di rispetto dei confini e di ragionato equilibrio dei poteri. Infine, il terzo modello è quello in cui vivono oggi gli europei: la cooperazione economica basata su valori liberali legati alla Guerra Fredda e al dispiegamento del capitalismo globale. Questa terza formula, che ha portato alla costruzione dell’Unione Europea, costituisce un’istruttiva avventura politica, ma si rivela globalmente incapace di concepire il territorio europeo come un vero e proprio spazio di potere.
Di fronte a questa osservazione, la domanda concreta è ovviamente sempre la stessa: come pervenire all’Europa potenza? In un contesto di crescenti squilibri demografici planetari e preoccupanti incertezze climatiche, con la tempesta migratoria che necessariamente li accompagnerà e che prepara le grandi crisi di domani, nessuno pretende di avere una risposta definitiva. Tuttavia, la nebbia non dovrebbe impedire la navigazione. È infatti evidente che una rinascita europea deve fondarsi su un rinnovato apparato politico liberato dall’impotenza che ha portato il continente al suo deplorevole stato di «addormentamento». Parallelamente, è giunto il momento di iniziare anche una riconquista «cognitiva», reclamando o riscoprendo la storia, la geografia e le particolarità di ogni popolo d’Europa. Come ha dimostrato in molte occasioni la storia europea, se i partner naturali di uno spazio comune non si conoscono bene, tutti i pericoli bellici li attendono e ogni alleanza rimane effimera, contribuendo naturalmente, attraverso le sue debolezze, a fare il gioco dei grandi «imperi».
Questa appropriazione e questa scoperta non sono operazioni difficili di per sé, ma richiedono anche un rinnovamento delle élite politiche, che non sembrano in grado di considerare la questione del potere europeo su larga scala. Per innovarsi e definirsi un oggetto politico inedito, l’Europa deve infatti ispirarsi sia al modello della Nazione che a quello dell’Impero, in un sistema di tipo federativo che non la riduca a un super-Stato, ma che si riveli al contrario come comunità, cultura e destino. Per fare questo, le vecchie ricette accentratrici, più o meno venate di eredità monarchica, mostrano limiti evidenti, ancor più all’interno di uno spazio continentale. Allo stesso modo, la caduta del totalitarismo sovietico ha mostrato il fallimento di un’organizzazione troppo monolitica, rafforzata peraltro da un provvidenzialismo dello Stato che non ha portato altro che un abbruttimento del popolo. Ricostruire l’Europa richiede invece un vero principio di sussidiarietà da applicare ove possibile, per conciliare, in tutto il continente, il rispetto degli enti locali e delle loro particolarità con l’unità di uno spazio politico vasto e unificato.
Concretamente, questa politica di potere dovrebbe almeno basarsi su una posizione di non allineamento che vieti di impantanarsi in «guerre di polizia» dall’altra parte del mondo in nome di valori appena condivisi. Questa potenza è anche un insieme di saper-fare tradizionali costantemente rinnovati che conferiscono un’eccellenza tecnica superiore, riconosciuta su scala mondiale, in particolare nell’ingegneria. Significa anche un sostegno alla cultura e ai costumi ancestrali, che richiede un rigoroso controllo dei flussi migratori, coraggiosa fermezza di fronte alle intrusioni rivendicative religiose e un’adeguata gestione delle questioni di sicurezza interna. Consiste, ancora, in una sfiducia sistematica nei confronti degli organismi sovranazionali, che obbligano a negoziare direttamente e puntualmente ogni questione diplomatica e ogni accordo economico senza che si possano attuare direttive e regolamenti costruiti da e in favore di altri soggetti. Si tratta, infine, di un’organizzazione militare di difesa all’interno della quale le responsabilità non devono essere trasferite a uno stato-maggiore lontano e sconosciuto, ma direttamente supportate dal braccio armato del popolo e ancorate nella vita quotidiana di cittadini pienamente consapevoli del proprio ruolo. L’Europa Potenza è, in breve, un modello di autonomia politica, le cui conquiste e ambizioni sono legittimamente basate su una realtà e un’autenticità continentale. È semplicemente la capacità di vivere come popoli liberi e di fare collettivamente del nostro destino ciò che vogliamo.
Olivier Eichenlaub
Traduzione a cura di Manuel Zanarini
Note
1. Nietzsche F., 1886, 1987, Aldilà del bene e del male
2. Valéry P., 1919, 1957, La Crisi dello spirito
3. Cosandey D., 1997, 2007, Le secret de l’Occident. Vers une théorie générale du progrès scientifique, Flammarion, Coll. Champs.