La “geopolitica” si è soliti farla nascere come disciplina con l’articolo del geografo politico inglese Halford J. Mackinder, quel “Geographical Pivot to History” che uscì nel 1904.
Da segnalare che il Mackinder aveva mentalità sistemica in quanto era sì geografo e politico ma fu anche il primo direttore della London School of Economics (LSE). Quindi, essendo tempi imperiali in quel del Regno Unito, il Mackinder leggeva il mondo con mentalità in cui geografia, politica ed economica erano descrizioni diverse dello stesso oggetto. Lo richiedeva la logica dell’impero. Il mondo è così, tutto intrecciato assieme (cum-plexus), siamo noi che lo leggiamo in discipline diverse incomunicanti, una assurdità che molti pensano esser invece l’unico metodo per sviluppare la conoscenza.
Ad ogni modo, il Mackinder era ossessionato dal pericolo di sviluppo continentale condotto dall’allora Impero russo. Se nel continente si fosse formato un potere territorialmente vasto e potente, poiché i britannici stavano su un’isola, avrebbero corso il rischio di diventare periferia. Da dove proveniva questa sensazione urgente di pericolo?
Doveva esserci qualcosa di attuale anche se la preoccupazione strategica inglese nei confronti del pericolo che i russi potessero diventare un egemone dei grandi spazi continentali era di lunga data, vedi Guerra in Crimea.
Nel 1900, all’Esposizione universale di Parigi, i russi presentarono per la prima volta il progetto di una incredibile linea ferroviaria che doveva collegare (collegare è potenzialmente unire), l’estremo occidente con l’estremo oriente russo. Si chiamava Transiberiana e verrà completata giusto l’anno prima dell’articolo fondativo dell’inglese. Fu questo annuncio a preoccupare le élite imperiali britanniche e il Mackinder se ne fece “il proprio tempo appreso nel pensiero”, inventando la disciplina. C’erano state altre letture di geografia politica in passato, ma per convenzione si dà i natali della disciplina col suo articolo.
A dire che la politica tra nazioni è letta con la geografia su cui si trovano sistemi. I sistemi sono gli Stati, ma sono le loro interrelazioni ad interessare il conflitto geopolitico. Le interrelazioni possono essere immateriali, ad esempio condividere una valuta, una serie di organizzazioni multilaterali, convenzioni giuridiche generali o specifiche del fare economico (ad esempio globalizzazione stile WTO o ora democrazie vs autocrazie).
Ma spesso sono materiali, ad esempio le ferrovie nel caso citato, oleodotti, gasdotti, reti Internet (ad esempio il nuovo sistema satellitare americano Starlink messo prontamente a disposizione prima degli ucraini ora degli iraniani in rivolta contro il potere locale), rotte navali e molto altro.
Il conflitto geopolitico è quindi anche conflitto sulla formazione, espansione, sicurezza delle reti che collegano potenze a sistemi periferici vassalli. Cosa per altro che abbiamo studiato a scuola a proposito dei Romani e la loro fissa per acquedotti e strade. O quella odierna dei cinesi per la Belt and Road Initiative.
Il mondo è multidimensionale, il conflitto è multidimensionale, la nostra capacità di leggere questioni multidimensionali arranca. È un preciso intento quello non solo di dire direttamente cosa dovete pensare, ma quello di imporre il modo con cui potrete pensare. Imponendo il modo non c’è neanche da forzare più di tanto il pensiero nel senso desiderato, semplicemente non avrete altro modo per pensare. I pesci non pensano “sono nel mare” semplicemente non hanno facoltà di pensare ci sia qualcosa d’altro oltre il mare.
Colpire il North Stream 1 e 2 è far capire che è irreversibile il de-linking tra richiesta di energia europea e fornitore russo. Poiché arriva l’inverno e gli europei potrebbero raffreddare la propria adesione al conflitto ucraino, meglio esser chiari.
Tanto molti hanno il cervello cablato in maniera tale che penseranno subito che sono stati i russi. Non importa sapere che la manopola che regola o flussi del gas è già in mano ai russi, i quali non si son fatti scrupoli di chiuderla o aprirla secondo intenzione geopolitica. Poiché hanno il cervello cablato in un certo modo, non avranno alcun dubbio che invece che aprire e chiudere la manopola è più conveniente andar a far saltare i propri tubi posati a fatica e costo, creandosi così un problema davvero grave. Si sa, son russi, sono cattivi ed i cattivi son spesso anche stupidi. Ma spesso lo sono anche i buoni e talvolta sono i buoni che sono cattivi.
O forse in queste cose non bisognerebbe applicare le categorie del buono e del cattivo, ma solo quelle più fredde dell’interesse geopolitico, ignoto ai più. Così ora, nel Baltico, i pesci guarderanno il loro mare e penseranno: liscio, gassato o …