Il politologo Tarchi: «Conservatrice pragmatica, in Ue chiederà più peso per l’Italia»
Alla dicotomia destra-sinistra – da sempre considera obsoleta negli scenari globali – preferisce per l’Italia quella conservatori-progressisti e invita a interpretare le prime mosse di Palazzo Chigi come il percorso di formazione di un nuovo modello di destra di governo, autonomo da schemi già presenti in Europa: questa è la lettura del nuovo corso nazionale post offerta alla «Gazzetta» da Marco Tarchi, ordinario di Scienza della politica all’Università di Firenze, nonché direttore delle riviste «Diorama Letterario» e «Trasgressioni». periodi internazionale di studi sul populismo.
Prof. Tarchi, dopo i due discorsi alla Camera del premier Meloni e i primi passi su Covid, immigrazione e contante, che profilo sembra assumere il nuovo governo?
«Tendenzialmente conservatore per un verso ma con influssi liberali-libertari, decisamente pragmatico per un altro. E con una spiccata tendenza ad una marcata personalizzazione della figura di chi lo guida».
I commentatori progressisti paragonano la Meloni a Victor Orban. A suo avviso c’è un modello internazionale di governo a cui si avvicina la proposta politica meloniana?
«Immagino che la sintonia con Orban si limiterà ai temi etici e al tentativo di porre un freno alle limitazioni e ingerenze dell’Ue sulle decisioni degli Stati membri in materia di disegno istituzionale interno (ma, su entrambi i versanti, con maggiore moderazione). Per il resto, credo che Meloni ambisca a creare un modello tutto suo».
Sulla politica estera, questa settimana c’è il primo viaggio a Bruxelles, con una agenda di incontri tutti “politici”. La linea populista della Meloni supererà il test del confronto con l’euroburocrazia?
«Non ho mai pensato che Fratelli d’Italia e la sua leader fossero populisti, e ancora meno lo penso adesso. Credo che siano prevalentemente conservatori e nazionalisti – anche se a loro piace definirsi sovranisti, che suona più nuovo – e che, per questo, Meloni si limiterà a chiedere una maggiore considerazione dell’Italia nel circuito decisionale dell’Ue, cercando di indebolire l’asse franco-tedesco, che ha sempre avversato e che del resto mostra già segni di crisi».
Che margini di manovra ci sono sui temi economici per segnare una discontinuità rispetto alla gestione Draghi?
«Molto pochi, credo. Qualche proposta, su pensioni e tasse, probabilmente ci sarà, ma non scommetterei sul fatto che alle intenzioni dichiarate possano seguire provvedimenti concreti».
L’identità di questa destra di governo: quali elementi di assonanza o rottura con Msi e An?
«Con il Msi, al di là dei richiami sentimentali, non credo ci sia molto in comune: sono troppo diverse le circostanze in cui questi partiti agiscono, in mezzo ci sono stati eventi epocali, dalla caduta del comunismo al nuovo ordine mondiale voluto da Bush e dai suoi consiglieri, passando per Tangentopoli e il berlusconismo. Con An un filo robusto c’è e lo si vede».
L’Italia non ha mai avuto un partito conservatore. Lo diverrà Fdi?
«In parte lo è già. Gli resta da stabilire cosa debba essere conservato e cosa no. Questione non di poco conto. Ma per più di un verso un ruolo conservatore in Italia lo ha svolto, almeno per un quarto di secolo, la Democrazia cristiana».
Sulla guerra c’è uno iato tra cultura di destra e politica: Cardini, Buttafuoco, Veneziani hanno firmato un appello per la pace con Vacca e Cacciari. Palazzo Chigi ha un filo diretto con Zelenski…
«È una delle tante contraddizioni che da molto tempo caratterizzano quell’area. D’altronde, è da un pezzo che non si dovrebbe più parlare di una destra, ma di molte destre che su molti temi sono in profondo disaccordo. Solo che, quando scatta il richiamo della foresta, una parte di esse converge con quella egemone, salvo poi dolersi delle scelte che questa fa. Per questo motivo, un certo numero di ex appartenenti a quel mondo oggi non accetta più di riconoscersi in esso».
Nella «generazione Tolkien» che la Meloni ha portato in parlamento ci sono molti ex giovani cresciuti leggendo i saggi di Alain de Benoist, o i romanzi di Michel Houellebecq. Qualcosa di simile avvenne con una parte (limitata) del ceto politico della destra francese al tempo della presidenza di Sarkozy. Dalle idee all’azione, cosa potranno proporre di concreto avendo come riferimento una visione non conformista?
«A parte il fatto che certe letture vorrei essere certo che siano state fatte e non solo dichiarate, stando anche all’esempio francese non credo che ne verrà fuori qualcosa di innovativo. Non basta leggere i testi di un autore; occorre anche condividerli e ispirarsene. E non è davvero il caso degli esponenti di un ambiente atlantista, occidentalista e nazionalista, seguace della geopolitica dettata da Washington, che esalta un discrimine destra-sinistra che de Benoist da decenni giudica obsoleto e che di coloro che considera avversari ha un’idea arcaica e distorta».
Il Pd avvia la fase costituente e il congresso. I 5S fanno un’Opa sulla sinistra. Che scenari si possono intravedere nei prossimi mesi?
«Sull’evoluzione del Pd è difficile formulare ipotesi, data la confusione sulla strategia da adottare che per il momento caratterizza la discussione interna. Quanto al M5S, una convergenza nell’ipotetico “campo largo” non gli converrebbe, soprattutto ora che, con i fattori di crisi presenti nello scenario socioeconomico e la Lega al governo, si riapre uno spazio per un populismo di protesta».
Intervista a cura di Michele de Feudis, «Orban? Meloni creerà un modello autonomo», 2 novembre 2022.