Da una decina d’anni il sociologo Michel Maffesoli, pur portando avanti un impegnativo e talvolta difficile lavoro di filosofia sociale, ci offre, nell’intervallo tra le sue pubblicazioni, libri più facilmente accessibili e spesso incentrati sull’attualità più recente.
Ha analizzato la crisi sanitaria come crisi di civiltà in Le Temps des soulèvements (Cerf, 2021) e ora ci offre Le Temps des peurs.
Questo libro è un’analisi dei meccanismi di potere che utilizzano le diverse crisi (Covid, Ucraina, penuria, ecc.) secondo quella che lui chiama «la strategia della paura». Riprendendo le osservazioni fatte in L’Ère des soulèvements, si sofferma sulle diverse sfaccettature dei «panici», se non creati, almeno eccessivamente amplificati dai vari poteri politici, mediatici, amministrativi e persino accademici.
L’espressione «strategia della paura» non è esclusiva di questo autore ed è stata ampiamente utilizzata negli ultimi tre anni dai cosiddetti «complottisti» (vedi sotto). Ma l’interesse del libro di Maffesoli è quello di rileggere l’attualità da una prospettiva dell’antropologica politica. Cerca di capire perché il potere in atto ha bisogno di questa strategia per sottomettere il popolo, soprattutto perché i suoi obiettivi dichiarati non sono più in linea con le aspirazioni popolari. Infatti, la ricerca puramente individuale di un miglioramento materiale sempre più consumistico e la sottomissione a una logica puramente economica, produttivista e materialista non è ciò che caratterizza le giovani generazioni.
Quindi, espone come agisce il potere. È qui che è benvenuto un ritorno alla struttura antropologica dell’umanità che è la paura. La paura è uno dei grandi archetipi che costituiscono la coscienza umana, sia individuale che collettiva. È la consapevolezza della finitudine umana, dell’imperfezione della nostra condizione, dell’esistenza del male. Maffesoli ha pubblicato una ventina di anni fa un libro intitolato «La Part du diable»! Quando diventiamo adulti, ci rendiamo conto dell’inevitabilità della morte. Da qui il sentimento di paura generalmente condiviso.
È su questo «sfondo di paura» che si basa la strategia politica di asservire il popolo. I governanti fanno credere al popolo di poterlo proteggere dalla fine inevitabile, di poter in qualche modo sradicare ogni pericolo e sconfiggere la morte. In linea con la teatralità che è diventato il gioco politico, il pericolo è messo in scena in una sorta di narrazione fittizia mutuata dai vari trucchi della comunicazione. Mobilitazione di esperti, messa in scena drammatica, manipolazione di cifre, il tutto sullo sfondo di un’ideologia infantilizzante del progresso.
Questa messa in scena sostituisce quindi i riti e le credenze ancestrali e tradizionali, elaborati dalle comunità umane per affrontare insieme questo destino mortale, con un credo scientista e costruttivista che ignora l’«ordine delle cose», le leggi naturali.
Maffesoli mostra come le ideologie «wokiste» e «anti-complottiste» partecipino a questo razionalismo perverso.
Il wokismo, sotto la sua veste emancipatoria, ritorna alla rigida logica dell’identità, sviluppata dalla modernità, che assegna a ogni individuo un’identità di razza, di genere, ecc. Ciò è in contrasto con quanto viene sperimentato, almeno in modo emergente, nella società postmoderna, ossia la pluralità della persona attraverso identificazioni multiple e labili. Il wokismo è un mezzo utilizzato dal potere per affiliare piccoli soldati dissenzienti, sempre pronti a censurare qualsiasi deviazione da una rigida doxa. Ma questo costruttivismo sociale è condiviso solo da una minoranza di individui, attaccati a un individualismo più retrogrado.
Per quanto riguarda l’uso disciplinare o addirittura totalitario dell’accusa di cospirazione, esso partecipa alla denigrazione e alla stigmatizzazione a priori di qualsiasi pensiero o convinzione dissidente, secondo un metodo estremamente stalinista. La messa in discussione dei diktat tecnocratici pseudo-medici e falsamente scientifici, l’attaccamento ai riti e alle tradizioni ancestrali, la difesa della libertà di espressione, soprattutto religiosa ma anche accademica e scientifica, tutti questi modi di pensare e di essere sono etichettati come complottisti e fascisti. I media, i poteri politici, amministrativi e naturalmente finanziari stanno praticando quello che Pasolini chiamava «il fascismo dell’antifascismo».
L’accusa di complotto ai luminari della scienza esprime la debolezza epistemologica di questi denunciatori, che inneggiano a una verità dogmatica quando non è semplicemente l’abito dell’avidità di un capitalismo senza vergogna. Come sappiamo, Stalin era un grande paranoico, e Maffesoli ha mostrato, fin dai suoi primi lavori (La Violenza totalitaria), il meccanismo totalitario all’opera nei totalitarismi del XX secolo, nazismo e comunismo, ma anche in quello che ha chiamato totalitarismo morbido, in particolare quello dell’ideologia del progresso.
Il meccanismo è semplice e antico come il mondo: gli uomini sono pronti a vendere la loro anima o la loro libertà in cambio di protezione. Protezione contro il pericolo dell’inferno, come descritto da Delumeau, e protezione ancora più illusoria oggi contro il pericolo della morte biologica. In questo modo, il meccanismo di asservimento volontario messo in atto negli ultimi tre anni è stato messo in moto dalla presentazione come pericolo mortale di quella che era fondamentalmente una messa in scena bellica di una banale epidemia, che ha essenzialmente ucciso persone anziane a cui era stato fatto credere di poter vivere per sempre. Nascondere l’inevitabile morte trasformandola in un sonno medicalizzato, isolare i morenti, nascondere i morti e vietare i raduni funebri sono tutti stratagemmi che non dureranno a lungo.
È questa fatticità, questa artificiosità del discorso politico del potere che genererà, in una reazione sana ma violenta, sollevamenti, rivolte, ma anche una forma di rinascita collettiva, un rinnovamento della solidarietà, della condivisione, nuove forme di altruismo.
Da molti anni attento alla tribalizzazione del mondo e al rinnovamento di quello che ha chiamato «ideale comunitario», Michel Maffesoli sa vedere ben oltre le contingenze politiche e politologiche dell’attualità.
Per questo il suo lavoro, pubblicato contemporaneamente a Le Temps des peurs, e intitolato Logique de l’assentiment, va considerato come il fondamento del primo.
Il saggio Logique de l’assentimen è sostanzialmente una sorta di culmine del percorso di pensiero che Maffesoli ha seguito fin dal suo primo libro, Logique de la domination, pubblicato nel 1976. Ha descritto, in senso marxiano più che marxista, la strategia di dominio del potere. Come nella modernità si sia imposta una logica di emancipazione individuale, a scapito dei valori di condivisione, solidarietà e comunità. Come il materialismo e il produttivismo abbiano progressivamente allontanato le comunità umane dal sentimento religioso, cioè dal rapporto con gli altri, con gli altri esseri e con l’Essere.
Per Maffesoli, la postmodernità contemporanea vede il ritorno di una religione vista non come una trascendenza globale, ma come un relazionalismo, un legame delle persone tra loro e con la natura. Questo è l’Essere nel mondo, l’Essere insieme.
La Logique de l’assentimen descrive quindi lo sfondo degli attuali sconvolgimenti, si potrebbe dire che li inscrive nella lunga durata delle epoche e dei cambiamenti di epoca. L’assenso non è una nozione politica o psicologica, non è la rassegnazione alla condizione dominata, è, al contrario, l’espressione dell’onnipotenza del Nous, che egli chiama talvolta «saggezza popolare», talvolta «tradizione», talvolta «ideale comunitario».
Di fronte ai giochi e ai teatrini di un potere che è sempre più costretto a fare giochi di specchi e giochi da sciocchi, la saggezza popolare non nega né la Morte né il Male, ma rintraccia, come meglio può, la sua volontà di vivere.
Proprio perché la Logique de l’assentiment testimonia la serenità e il gioioso ottimismo di un intellettuale il cui lavoro è abbondante, ma a volte approssimativo, Le Temps des peurs non è un trattato di collassologia.
È vero che siamo alla fine di un’epoca e le crisi sanitarie, economiche e persino geopolitiche testimoniano soprattutto la difficoltà delle élite al potere di comprendere che i grandi valori su cui si fondava la modernità, l’individualismo, il produttivismo, il culto del progresso scientifico e tecnico e, infine, l’economicismo, sono saturi e che stanno emergendo altri valori, cioè altre aspirazioni comuni, un altro immaginario.
Tutti i dibattiti attuali testimoniano questa profonda spaccatura tra il popolo e coloro che pretendono di rappresentarlo, le élite politiche, sindacali e intellettuali. Il dibattito sull’età pensionabile ne è un esempio. Nessuno si chiede cosa significhi, almeno per le giovani generazioni, essere ossessionati dalla pensione non appena si entra nella vita lavorativa. Non sarà forse perché il lavoro così come è concepito e organizzato, un valore puramente economico, non risponde alle loro aspirazioni di maggiore creatività, di rapporti di lavoro più collaborativi e forse, semplicemente, di rifiuto di una serie di mansioni prive di senso e di etica?
Come in molte proteste contemporanee, le rivendicazioni e le giustificazioni addotte sono in parte superflue. Prendono a prestito dal vecchio linguaggio politico (lo Stock of knowledge diceva Schütz, lo stock di parole, di concetti che abbiamo a portata di mano), ma soprattutto traducono il desiderio di stare insieme, di ritrovarsi, di formare una comunità, anche se solo per il tempo di una manifestazione.
Maffesoli ama il popolo e rivendica le sue origini operaie. (Vedasi la dedica al padre in L’Ombra di Dionisio, Garzanti, Collana Saggi Blu, 1° marzo 1990). Non ha forse imparato molto presto, come figlio e nipote di minatori che lavoravano nel sottosuolo, che l’unico modo per resistere alla presenza incessante della Morte e alla paura quotidiana di incidenti che colpiscono i padri, era quello di partecipare ai numerosi rituali culinari, festivi e ludici della sua comunità di villaggio.
Così, Logique de l’assentiment e Le Temps des peurs esprimono in modo particolarmente forte il suo radicamento nella vita quotidiana e in una tradizione di pensiero particolarmente ricca e plurale.
Hélène Strohl
Hélène Strohl è stata Ispettore generale degli Affari sociali (IGAS) fino al gennaio 2013 e ha redatto rapporti sulla psichiatria, la coesione sociale e la disabilità. È autrice di «L’État social ne fonctionne plus», pubblicato da Éditions Albin Michel (2008), coniuge di Michel Maffessoli.
I due libri di Michel Maffesoli, appena pubblicati in Francia: «Logique de l’assentiment» e «Le Temps des peurs», éditions du Cerf, gennaio 2023.
(Lo scritto di Hélène Strohl è stato pubblicato dalla Rivista Entreprendre, «Michel Maffesoli, contre lewokisme», in data 14/01/2023)