” _Una parola ha detto l’Eterno, due ne ho udite_ .”
Il passo dei Salmi ci ricorda che anche in ambito religioso, anche in un rigido contesto come quello veterotestamentario, era ed è radicata la consapevolezza del carattere ontologicamente fallibile o mai completamente perfetto della conoscenza umana.
Scriveva, circa vent’anni fa, Gustavo Zagrebelsky, che l’uomo intellettualmente onesto e libero, nella sua ricerca della verità, ha ” __la coscienza che la profondità delle cose, pur se sondabile, è però inesauribile. Onde di ogni nostra conoscenza deve dirsi ch’essa è non fallace o impossibile, ma sempre, necessariamente, superficiale. […] Così l’etica del dubbio non è contro la verità, ma contro la verità dogmatica, che è quella che vuole fissare le cose una volta per tutte e impedire o squalificare quella cruciale domanda: «sarà davvero vero?». Proprio nella formulazione di queste parole sta, mi pare, l’espressione della più primordiale, e quindi naturale, delle facoltà umane. Impedirla è l’atto più innaturale, anche se compiuto in nome della difesa di una giustizia naturale, o di una legge naturale, affermate una volta per tutte e sottratte al dubbio_ ”.
– E questo atteggiamento intellettuale, direi: culturale, dovrebbe valere -anzi vale, ai sensi degli art. 629 e 630 c.p.p. anche per le sentenze penali.
Eppure questo ultimo mese ci ha consegnato due casi di dichiarazioni riguardanti tragici eventi (l’infame strage della stazione di Bologna del 2.8.1980 e la tragedia del DC 9 dell’Itavia esploso in cielo sopra Ustica il 27 giugno dello stesso anno) che hanno scatenato una ridda di reazioni di portata e contenuto ben diverso. Se nel caso del Presidente Amato queste si sono (correttamente) limitate -nei casi estremi- alla confutazione, non mancando aperture di credito ( _”Dopo 43 anni, a sorpresa, è Giuliano Amato a riaprire il caso Ustica, chiedendo al governo francese di riconoscere le proprie responsabilità_ ” , così il Corsera a pag. 5 dell’ edizione del 3.9.2023), nel caso delle esternazioni di Marcello De Angelis, si è invece scatenata una sorta di rappresaglia per la violazione del tabù della verità processuale (negli anni assurta a patrimonio morale della nazione in considerazione della nefandezza e dell’ entità della strage), in cui si è scandagliata la vita dell’ex parlamentare con un’acribia che francamente mi ha colpito. Il caso De Angelis rischia di diventare un caso da manuale: l’esercizio di un diritto costituzionale, esercitato nel perimetro tracciato dalla giurisprudenza, ha fatto scattare pavlovianamente l’accusa di “negazionismo”, secondo un paradigma diversamente maccartista che non concepisce il diritto di ogni uomo a protestare la propria innocenza (o quella di un parente, o di chiunque altro) pur a fronte di una sentenza passata in giudicato.
E così, per un mese intero, si è lavorato di lena, con un accanimento e una pervasività che avrebbe sfibrato la resistenza psicologica dei più, passando al setaccio post, compulsando motori di ricerca, riesumando testi ormai lontanissimi nel tempo e nella sensibilità dell’ uomo che è oggi Marcello De Angelis , per sollecitare la sua rimozione dal lavoro o per esercitare una pressione che lo ha poi indotto a presentare le dimissioni. Abbiamo così il primo caso, almeno a mia memoria e almeno per quel che riguarda uno Stato di diritto, di un uomo che è stato mediaticamente indotto alle dimissioni dal proprio lavoro (per tacere delle immaginabili ricadute nella serenità famigliare) in forza di una campagna di demonizzazione fondata non già su gravi inadempienze o su atti nell’ esercizio delle funzioni che hanno comportato il disdoro, ma per la lesione dell ” Etica della Verità”. Una campagna senza esclusione di colpi, in cui si è arrivati addirittura a contestargli falsamente di aver esaltato i gerarchi nazisti (il che dà la misura e il profilo dell’ ubi consistam di questa campagna).
Fino a quando l’uomo non ha ceduto.
La soddisfazione con cui, in alcuni ambienti, sono state accolte queste dimissioni (forzate dal clima creatosi) è agghiacciante.
Ma se non stupisce l’accanimento dei suoi avversari, qualche interrogativo lo pone il silenzio di un ambiente politico e culturale che appena quattro anni fa, quando emerse la questione della 86ma vittima della strage di Bologna, aveva prodotto questa riflessione:
” Se confermato, lo scoop dell’Adnkronos sulla strage di Bologna metterebbe in discussione l’intero castello processuale e confermerebbe che lì, la mattina del 2 agosto c’era una 86ma vittima. Forse la terrorista, come ipotizzato dalla tesi del giudice Priore e Valerio Cutonilli? E chi ha fatto sparire il corpo della povera Maria Fresu? Esprimiamo solidarietà alla famiglia e attendiamo risposte urgenti a interrogativi inquietanti, per risolvere un intrigo sempre più dai risvolti internazionali che qualcuno si ostina a considerare come una vicenda di terrorismo interno “.
Ma in disparte rimane il fatto che in una nazione ideale, la libertà d’espressione dovrebbe essere un caposaldo dello Stato di Diritto e che un cittadino non dovrebbe temere per il suo lavoro se esprime una convinzione minoritaria, soprattutto se “scomoda”.
Perché come ricorda sempre Zagrebelsky “la democrazia, non basandosi sulla verità, ammette le opinioni”.
Su qualsiasi argomento.